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L'Italia unita tra sentimento e politica

Esce il nuovo libro di Bruno Vespa "Il cuore e la spada" che narra gli avvenimenti storici dal 1861 ad oggi. Ecco un'anticipazione del capitolo "E l'Italia nacque tra alcove e battaglie"

Bronte, una strage e due verità. I Mille, abbiamo detto, erano in larga parte settentrionali. Si può capire, perciò, il loro stupore nel vedere i costumi dei siciliani e delle siciliane. «Vestono come saracene», annotò tra il sorpreso e l'ammirato un cronista d'eccezione come Ippolito Nievo. «Qui si vive in pieno Seicento con il barocchismo le raffinatezze e l'ignoranza di allora», raccontava alla madre. «Noi abbiamo il compenso di esser ammirati come Eroi, e questo vantaggio con due spanne di blouse rossa e settanta centimetri di scimitarra ci fa sentire gli uomini più contenti della terra». Davanti alla residenza di Garibaldi c'era la fila per offrirgli canditi e cannoli, ma altrove la novità fu accolta diversamente. Molti contadini scambiarono l'arrivo del generale con l'inizio della rivoluzione: occuparono le terre e il 2 agosto a Bronte, in provincia di Catania, ammazzarono 16 persone tra nobili e notabili. Bronte era un feudo degli eredi di Horatio Nelson, che l'aveva avuto in omaggio dal Borbone in segno di gratitudine per il sostegno fornito nella repressione della rivoluzione napoletana del 1799. E lavorare sotto i Nelson non era molto gratificante per i contadini, che dovevano consegnare il 60 per cento del raccolto e restituire le sementi. (Sul Corriere della Sera del 31 luglio 2010 Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella hanno riportato il testo del proclama con cui il 2 giugno 1860 Garibaldi aveva illuso i contadini sulla distribuzione delle terre, che, in realtà, sarebbe avvenuta soltanto un secolo dopo.) Perciò, quando si accorsero che la realpolitik avrebbe lasciato il feudo ai vecchi proprietari, s'infuriarono e perpetrarono la strage. Strage orribile, come raccontò Giovanni Verga in una novella (Libertà) accusata da Leonardo Sciascia di proporre una versione troppo filogaribaldina in ossequio all'oleografia a lungo dominante sulle imprese dell'Eroe dei Mille, ma confermata anche dallo storico Benedetto Radice (Nino Bixio a Bronte), che pure rivelò i particolari più crudi e ingiustificati della repressione. Basti dire che, dopo aver ammazzato il notaio Ignazio Cannata, odioso notabile del paese, i rivoltosi uccisero anche suo figlio Neddu, di undici anni: il ragazzo tentò di scappare, ma fu raggiunto, massacrato a calci in faccia e poi finito, secondo la versione di un testimone al processo, in questo modo: «Il taglialegna, dalla pietà, gli menò un gran colpo di scure con le due mani, quasi avesse dovuto abbattere un rovere di cinquant'anni...». Uno degli insorti, per lavarsi la coscienza, commentò: «Bah, egli sarebbe stato notaio, anche lui!», a dimostrazione di un odio sociale che prescindeva dalla qualità delle persone. La reazione era inevitabile. Garibaldi e il suo luogotenente siciliano Francesco Crispi, che nel 1887 sarebbe diventato presidente del Consiglio, volevano impedire il ripetersi delle stragi di Partinico dove i paesani avevano massacrato i soldati borbonici in ritirata che si erano macchiati dell'eccidio di vecchi e bambini innocenti. Incaricato della repressione esemplare fu Nino Bixio. Il 6 agosto arrivò a Bronte alla guida di un battaglione di bersaglieri, fece un'inchiesta e ordinò un processo sommario che in quattro ore finse di esaminare addirittura 150 casi e si concluse con la condanna a morte di cinque persone, fucilate all'istante. Tra queste, l'avvocato Nicolò Lombardo, che era stato proclamato sindaco dai rivoluzionari e che in seguito fu completamente scagionato dalla strage, e un poveraccio, lo «scemo del villaggio», incapace d'intendere e di volere. Il poveruomo, Nunzio Ciraldo Fraiunco, per tutto il tragitto verso il luogo dell'esecuzione continuò a baciare lo scapolare con l'immagine della Madonna che portava al collo e a ripetere al garibaldino che lo scortava: «La Madonna mi salverà». In effetti, la Madonna ci provò, perché Nunzio non fu colpito dalle scariche del plotone d'esecuzione. Ma quando si gettò ai piedi di Bixio gridando: «La Madonna m'ha fatto la grazia, ora fatemela voi», sentì il generale ordinare a un sergente: «Ammazzate questa canaglia». Tre anni dopo, altre venticinque persone furono condannate all'ergastolo. Più di un autore (tra cui Gigi Di Fiore nel suo Controstoria dell'unità d'Italia) sospetta che Garibaldi adottò un atteggiamento così duro perché la rivoluzione aveva messo in pericolo gli interessi inglesi in Sicilia ai quali abbiamo accennato. Ed è vero, ma poiché Russia, Austria e Prussia, allarmate da questa ondata rivoluzionaria, stavano già interrompendo i rapporti diplomatici con il Piemonte, il generale pensò di tranquillizzare l'opinione pubblica britannica che, come abbiamo visto, gli era molto cara. Sulla tragedia di Bronte si sono avuti nell'arco di centocinquant'anni giudizi diversi. Per un secolo, in onore dell'epopea garibaldina, della vicenda si è parlato pochissimo e in termini edulcorati. Dal 1972, quando uscì sugli schermi il film di Florestano Vancini Bronte. Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, di cui Sciascia fu uno degli sceneggiatori, si sono moltiplicate le critiche all'atteggiamento dei garibaldini. Nella cittadina siciliana c'è ancora chi scalpella via il nome di Nino Bixio dalle targhe stradali, ma, analizzando la vicenda con freddezza, non si può non riconoscere che, a fronte di 16 persone uccise dai contadini, soltanto 5 rivoltosi furono giustiziati. E se almeno 2 di questi (l'avvocato Lombardo e il povero Nunzio) erano innocenti, le guerre moderne ci hanno abituato a rappresaglie ben più tragiche, non solo da parte nazista. Semmai è corretta l'osservazione di Vancini sulla totale indisponibilità di Bixio a capire, al di là della strage, quanto drammatica fosse la condizione sociale dei contadini, tanto che ai poveri la «liberazione» dal Borbone non portò particolari benefici.

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