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Mafia, operazione "Iron Man": prime ammissioni

Uno degli indagati, Atanasio Alcamo, ha risposto ai magistrati, ammettendo che in una conversazione intercettata si riferiva a un imprenditore sottoposto ad estorsioni

PALERMO. Ha risposto ai magistrati e ha dovuto ammettere che in una conversazione intercettata si riferiva a un imprenditore sottoposto ad estorsioni. Atanasio Alcamo, uno degli indagati dell'operazione antimafia eseguita ieri dai carabinieri del comando provinciale di Palermo, ha dovuto ammettere di essere la persona che impartiva istruzioni su un danneggiamento da effettuare, ordinando di bruciare, fino a renderlo "irriconoscibile", il portone di casa di un costruttore edile che non voleva pagare il pizzo.  


Alcamo, di fronte alle contestazioni del pm Marcello Viola, ha però negato di avere dato l'ordine: ma proprio nella notte successiva all'intercettazione, quella tra il 4 e il 5 dicembre 2009, l'incendio ci fu veramente. Sospettato di averlo appiccato é l'interlocutore del mafioso, Placido Cacciatore, un altro degli arrestati. Nell'operazione, coordinata dai pm Viola, Nino Di Matteo e Francesca Mazzocco, i carabinieri hanno scoperto un meccanismo di "pizzo con fattura", per giustificare gli esborsi da parte dei commercianti taglieggiati. Interrogato anche Giovanni Trapani, antagonista di Alcamo nel controllo del mandamento. Lui si è limitato a negare tutto. Mentre un terzo indagato, Giuseppe Berretta, che risponde di traffico di stupefacenti, quando gli hanno riletto le intercettazioni di alcune sue conversazioni, ha detto di essere stato "ubriaco".

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