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Quei sindacati che devono lavorare per salvare la Fiat

Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, ci tiene a prendere le distanze dalla Cgil e della Cgil. Dice che l'accordo su Pomigliano non resterà isolato. Dice che andrà avanti. Dice che diventerà il riferimento per altri accordi. L'obiettivo è semplice: aumentare la produttività dell'azienda e il salario dei lavoratori. Parole che restituiscono il sindacato cattolico alle sue radici. Lo scopo dei rappresentanti del lavoratori è quello di collaborare allo sviluppo dell'azienda. Non alla sua morte con pesi che non può portare. Il sindacato discute, anche con durezza a difesa dei diritti dei lavoratori. Poi, però, trova sempre un accordo.
Un modo di operare, purtroppo, del tutto estraneo alla Cgil. Da quelle parti è ancora ben viva la contrapposizione ottocentesca fra capitale e lavoro. Gli anni di Luciano Lama, evidentemente, hanno lasciato poche tracce. Il capo della Cgil dialogava con Gianni Agnelli e trovava degli accordi. I suoi successori sono schiavi del radicalismo. Pur di difendere l'ideologia rischiano di far perdere il posto di lavoro ai cinquemila dipendenti della Fiat di Pomigliano. Non hanno firmato l'accordo a differenza di Bonanni e Angeletti. Se Cisl e Uil avessero fatto la stessa cosa non sarebbe rimasto che chiudere. In un mondo globalizzato le aziende producono dove ci sono le condizioni migliori. E ormai la Fiat è una multinazionale. Polonia, Serbia o Turchia possono benissimo ospitare le produzioni che lasciano l'Italia. Proprio per fermare questo esodo che Bonanni ha firmato l'accordo di Pomigliano e ora annuncia la volontà di estenderlo.
In questo senso si comporta come un vero sindacalista che ha il compito di difendere gli interessi dei lavoratori. Non quello di immolarli in nome dell'ideologia.
Per fortuna è morto per sempre l'antico slogan tanto in voga negli anni '70. Allora si considerava il salario come una variabile indipendente dalle condizioni di salute dell'impresa. Voleva dire che la retribuzione andava riconosciuta lo stesso. Anche se l'azienda boccheggiava, anche se i dipendenti non lavoravano, anche se la situazione economica andava a rotoli.
Per fortuna, tutto questo è finito dopo aver provocato non pochi disastri. Finalmente i concetti di merito, di produttività, di efficienza si stanno diffondendo anche in Italia. Le antenne sensibili di Bonanni hanno colto il cambiamento e lo vogliono tradurre in esempi concreti. Com'è successo negli Stati Uniti dove una mobilitazione generale ha consentito di salvare l'industria dell'auto che solo due anni fa sembrava destinata a sparire. Sono intervenuti tutti gli attori: il governo, il sindacato, l'impresa.
Venerdì a Detroit si sono visti i frutti. Il presidente Obama ha visitato gli stabilimenti della Chrysler raccogliendo l'applauso dei lavoratori. Obama ha pubblicamente ringraziato Marchionne per l'impegno con cui la Fiat. Un copione del genere sarà esportabile in Italia? Temiamo di no. Eppure un aspetto dovrebbe far riflettere: il teatro di questo successo non era uno sperduto paese del Terzo Mondo ma gli Stati Uniti d'America. Vale a dire la prima potenza economica del pianeta. Forse non a caso.

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