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Industria, le difficoltà del Sud

Gli ordini ed il fatturato dell'industria italiana volano. A maggio scorso la crescita è stata quasi del 27%. Non accadeva da almeno due anni. L'industria italiana festeggia; fino alla Toscana di sicuro. Fino al Lazio probabilmente. Al di sotto, per intenderci nel mezzogiorno e nelle Isole, da festeggiare c'è invece molto poco. Non fosse altro perché sono proprio le industrie le grandi assenti. Guardiamo alla Sicilia. La nostra regione, in senso geografico, mostra da tempo una intrinseca repulsione verso gli insediamenti industriali. Fatta eccezione per qualche polo chimico o petrolchimico ed al netto di qualche sparuto insediamento nella Sicilia orientale, qui di industria c'è davvero poco. Basti pensare che con oltre l'8% della popolazione italiana, la Sicilia resta al di sotto del 3% degli occupati nell'industria. Le spiegazioni possono essere numerose. Ma è il contesto generale che risulta ostico per l'impresa: tanto quella locale che quella di provenienza extra regionale. Del resto come si può pensare che un imprenditore consideri la Sicilia un mercato possibile, quando il semplice rilascio della concessione edilizia per realizzare la base dell'attività industriale e cioè un "capannone" richiede mediamente 415 giorni (già troppi!) nel nord-ovest e 959 giorni in Sicilia? E che dire del fatto che l'avvio di una impresa richiede in Sicilia un tempo più che doppio rispetto al nord-est? Peraltro non si può ignorare che, nel confronto internazionale, anche la aree più progredite del Paese si pongono in una posizione a dir poco sfavorevole. In sostanza andiamo peggio in un Paese che già va male. Nel caso della concessione edilizia, trattandosi di norme regionali, il problema risiede nella maggiore farraginosità locale rispetto alle già farraginose norme del resto del Paese. Nel caso delle procedure di avvio di una nuova impresa, considerato che prevale la normativa di riferimento nazionale, la differenza nei tempi può essere attribuita al diverso grado di efficienza delle amministrazioni locali. A ben vedere non fa molta differenza. Resta infatti insoluto il problema dello scarso appeal del territorio siciliano nei confronti dell'imprenditore che qui si volesse insediare. La Sicilia, al pari delle altre regioni italiane, dispone sulla carta delle risorse finanziarie per rimuovere o comunque attenuare le principali diseconomie. Storicamente le scelte fatte vanno in altra direzione. Come potrebbe spiegarsi altresì il fatto che un cittadino lombardo (con il livello di reddito che si ritrova) spenda in media 21 euro per fare funzionare la macchina regionale e che in Sicilia (con ben altri livelli di reddito) di euro se ne spendano addirittura 349? Si diceva che i soldi non mancano. La Sicilia dispone infatti di 4.094 milioni di euro a valere sui fondi FAS, per finanziare infrastrutture. E' vero che il ministero dell'economia tiene almeno per ora chiuso il cordone della borsa, ma è anche vero che la nostra regione dispone di altre risorse. Circa 2.100 milioni sono disponibili dai fondi europei per la formazione, mentre altri 6.540 milioni arrivano dai fondi europei per lo sviluppo . Nel primo caso (formazione) risultano spesi poco più del 2% dei fondi (quasi quattro anni dopo l'avvio del piano), mentre nel secondo caso (fondi per lo sviluppo) la spesa si attesta al 6%. In totale sono disponibili quasi 13 miliardi di euro, che se non possono eliminare per intero il "disagio" di chi vuole fare impresa in Sicilia, certo possono dare una bella mano. Qui non è il caso di indugiare su quanto si è fatto o non si è fatto. E' invece il tempo di mettere mano, con pochi ma rilevanti obiettivi, ai principali nodi, magari muovendo da quelle infrastrutture che mancano e che porterebbero lavoro vero e maggiore efficienza del territorio. Ma sia chiaro, fare crescere un territorio per renderlo appetibile alle imprese significa puntare anche alla qualità dei servizi pubblici (che rappresentano una pre-condizione per l'impresa) così come alla qualità della vita degli stessi cittadini. Nella gestione dei rifiuti urbani la Sicilia dovrebbe arrivare al 40% di differenziata entro il 2013 e non arriva al 7%; l'acqua erogata dalle reti comunali doveva passare dal 59% dei cittadini serviti al 75% e siamo a poco più del 60%. I servizi per l'infanzia dovrebbero passare dal 4% al 12% dei bambini residenti e restiamo al 4,8%. L'assistenza domiciliare agli anziani non raggiunge il 2% e dovrebbe essere del 3,5%. Un'impresa per sopravvivere in un mercato già duramente competitivo, ha bisogno di servizi pubblici e sociali per i propri dipendenti, che poi sono cittadini come gli altri. Certo avremmo potuto lamentare ancora una volta l'assenza di infrastrutture, l'insufficienza della rete elettrica, le difficoltà di accesso al credito, etc. Ma ne parliamo già da troppo tempo. La battaglia per rendere più efficace la spesa pubblica riguarda tutti. Ma proprio tutti.

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