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Brancher, la nota stonata del Quirinale

Non c’è dubbio che il neo ministro Brancher abbia malamente esordito invocando il «legittimo impedimento» per non presentarsi al processo avviato per la scalata all’Antonveneta. E non c’è dubbio, ugualmente, che Berlusconi avrebbe fatto meglio ad avvertire gi alleati della nomina di Brancher. In ogni caso, i ministri devono dare dimostrazione di trasparenza, senza seguire i consigli di avvocati che non si misurano con la pubblica opinione. È anche vero che molti procedimenti giudiziari sono manifestazioni di politicizzazione dell’azione giudiziaria, ma chi ha incarichi di governo, pur valutando iniqua l’azione della magistratura, deve esporsi, chiarire, smontare, se del caso, i teoremi della pubblica accusa. Brancher ha scelto un’altra strada e questo non ci piace.
Il «legittimo impedimento» non è argomento da sottovalutare e i clamori dell’opposizione sono decisamente esagerati, resta una questione di stile, sulla quale si può discutere senza, però arrivare a giudizi di condanna morale che non sono significativi.
Visto lo stato della giustizia in Italia è comprensibile che si cerchi di sottrarsi agli impegni giudiziari che normalmente, per i politici, si traducono in una gogna giudiziaria e mediatica senza possibilità di reale contraddittorio. Ma questa vicenda è più intricata di quanto non sembri. La difesa dell’on. Brancher, nel sollevare il problema del legittimo impedimento, ha sottolineato la necessità del neo-ministro di organizzare il suo ministero. A questo punto è arrivata una nota del Quirinale, nella quale si sottolineava che, essendo Brancher un ministro senza portafogli, non c’era alcun ministero da organizzare. Curiosa puntualizzazione. Ma è compito del Colle interferire in un procedimento giudiziario valutando un eccepito legittimo impedimento?
È compito del capo dello Stato intromettersi in simili questioni, mettendo in gioco la sua credibilità e la necessità di essere, oltre che di apparire, al di sopra delle parti? Stiamo attraversando tempi difficili, le istituzioni sono sottoposte a usure e scricchiolii che in altri periodi non avremmo immaginato, ma queste disarmonie istituzionali ci preoccupano.
Proprio in questo momento di crisi globale, di congiuntura economica sfavorevole, si avverte il bisogno di una concordia istituzionale che superi le contingenze della polemica politica quotidiana. Il presidente della Repubblica ha sempre avuto un approccio distaccato sulle questioni di politica corrente, insistendo, con lodevole tenacia, sulla necessità del dialogo e delle riforme partecipate.
La nota di ieri del Quirinale è un’autentica stonatura, una stecca in un’interpretazione che finora è stata impeccabile. Non ci interessa la sorte del ministro Brancher, non ci interessa la sorte di nessun ministro, ma ci sta a cuore la sorte di questo Paese che sta uscendo dalle paludi della recessione. Un Paese vivo e vitale che nei momenti più difficili sa esprimere il meglio di sé . Un’Italia generosa, che non sopporta né merita disarmonie istituzionali. E che anzi auspica cambiamenti e riforme per essere preparata alla competizione con partner europei e competitori di altri continenti.
La nota del Quirinale avrà ampio risalto nel mercato della politica politicante, ma non servirà a quegli italiani che oggi, di là delle polemiche, hanno bisogno soltanto di fiducia e di speranza.

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