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Nel Pdl ritorni la pace

Gianfranco Fini è convinto che il Cavaliere punti alle elezioni anticipate, pensa che Napolitano prima di concedergliele voglia verificare la possibilità di maggioranze alternative, ma dà atto correttamente che il presidente della Repubblica non consentirebbe la nascita di governi in dissenso con la volontà degli elettori. Nessun ribaltone come quello di Bossi che nel '96 favorì - complice Scalfaro - la nascita del governo Dini, né come quello di Mastella che - sempre complice Scalfaro - nel '98 sostituì Prodi con D'Alema. Fini è tuttavia convinto che se il Cavaliere riuscisse ad avere le elezioni anticipate vi si romperebbe il muso: la Lega si rafforzerebbe nel Nord ai danni del PdL e il Paese rischierebbe una nuova ingovernabilità. Un regolamento dei conti a perdere insomma.  Dopo la direzione del 22 aprile, Berlusconi non ha più parlato in pubblico delle questioni interne al PdL. Sa che i cittadini - e in particolare i suoi elettori - si aspettano da lui la barra dritta sulle riforme. Le riforme servono a migliorare la qualità dello Stato e a ridurre in modo drastico gli sprechi assicurando ai conti pubblici un sollievo da tramutare immediatamente in provvedimenti economici in favore delle famiglie e delle imprese. A sedici anni dalla sua «discesa in campo» il Cavaliere sa che i prossimi tre anni sono decisivi per la sua valutazione come uomo di governo. Nei suoi sette anni di governo non c'è stato nessun ciclo positivo dell'economia internazionale. Ma Berlusconi sa bene che questa non sarà considerata per lui una scriminante. Vuole perciò lavorare in silenzio e produrre frutti. La tentazione di un voto anticipato in cui governare con Bossi e senza Fini è forte. Ma ben pochi in Italia e soprattutto nel mondo gli perdonerebbero di rallentare l'azione di governo in un momento di gravissima crisi per risolvere problemi interni. Inoltre la vicenda Scajola, le indagini su Verdini, i movimenti davvero gelatinosi di una cricca certo trasversale, ma oggi caricata quasi completamente sulle spalle del PdL, non mettono l'elettorato di centrodestra di buonumore dinanzi alla prospettiva di un nuovo voto. Al tempo stesso Berlusconi non è affatto disposto a farsi logorare. Meglio battersi all'arma bianca piuttosto che morire lentamente di veleno come Simon Boccanegra, protagonista dell'opera verdiana rappresentata in questi giorni (salvo scioperi) alla Scala di Milano. Una tregua dunque conviene a tutti. Fini deve muoversi con molta prudenza, Berlusconi tirare dritto dando ascolto ai molti «pontieri» che vogliono evitare sfracelli.  Una questione delicatissima si aprirà il mese prossimo con il voto sulla cittadinanza anticipata agli emigrati alla quale Fini tiene molto. Qui gli strappi non convengono a nessuno. Non a Fini, non a Berlusconi e nemmeno alla Lega. Un ragionevole punto di compromesso può essere raggiunto sulla cittadinanza anticipata ai bambini nati in Italia da immigrati regolari che abbiano conseguito la terza media. Si tratta dunque di ragazzi di quattordici anni che non hanno diritto di voto e al tempo stesso possono vedere premiata una proficua (grazie agli studi) permanenza nel nostro Paese. Una concessione del genere può essere anche uno stimolo a far completare un regolare corso di studi a ragazzi spesso sbandati (i genitori avrebbero una scusante in meno), a migliorare i rapporti con le comunità integrate e a dare un segnale di solidarietà a quel mondo cattolico determinante nell'aver garantito la vittoria della Polverini nel Lazio, ma anche di Cota in Piemonte. Per il poco che conosciamo Berlusconi, riteniamo che lui non avrebbe niente da obiettare. Il problema riguarda la Lega. Ma anche qui occorre essere chiari. Bobo Maroni è un bravo ministro dell'Interno. Ogni buon generale sa condire le vittorie sui fronti più importanti con concessioni che non mettono a rischio la sicurezza del presidio. C'è poi la saggezza di Umberto Bossi: egli sa bene che si può essere chierichetti del papa e non concedergli nulla sul piano dell'umana solidarietà. Una tregua, dunque, conviene a tutti i leader della maggioranza. E conviene, soprattutto, al Paese.

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