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Intervista a Farinas, dissidente cubano contro il potere

Guillermo Farinas, il dissidente cubano, è al 56º giorno di sciopero della fame e della sete. E non ha alcuna intenzione di fermarsi, nonostante due collassi e i ricoveri d'urgenza nell'ospedale di Santa Clara. Farinas, psicologo e giornalista, ha detto che cesserà lo sciopero solo se il presidente Raul Castro deciderà di liberare i 26 prigionieri politici gravemente ammalati. Siamo riusciti a intervistarlo in esclusiva, nonostante le rigide misure di sorveglianza della polizia del regime castrista.


Guglielmo Farinas, lei ha dichiarato la sua intenzione di rifiutare il cibo e l’acqua sino alla morte. È sempre fermo su questa decisione?  

«Certo,adesso più che mai bisogna andare avanti,se necessario, sino alla morte. Continuerò a rifiutare gli alimenti e l'acqua, anche se sono già trascorsi quasi due mesi dall'inizio dello sciopero».

Dal 1995 Farinas ha compiuto 19 scioperi della fame, raggiungendo il primato assoluto per questo tipo di lotte estreme. Con lui altre 5 persone hanno cominciato il 24 febbraio, un'analoga protesta. Nel 2006 il dissidente ha condotto uno sciopero del cibo per 7 mesi: una protesta contro la censura su Internet attuata dalle autorità castriste che gli valse un Premio internazionale per la libertà di stampa assegnato da Reporters sans Frontieres. All'indomani della morte del dissidente Orlando Zapata Tamayo, morto dopo 85 giorni di sciopero della fame, Farinas è stato arrestato, insieme ad altri 125 intellettuali, che sono stati interrogati e maltrattati da polizia e servizi segreti.


Ci vuole ricordare quali sono gli obiettivi della sua lotta?

«Gli obiettivi della mia lotta sono tre. In primo luogo non deve rimanere impunito l'assassinio politico di Orlando Zapata Tamayo nelle carceri cubane. Le autorità non hanno fatto nulla per aiutarlo, negandogli anche l'acqua negli ultimi giorni. Il generale Raul Castro Ruz, presidente del Consiglio dei ministri e presidente del Consiglio di Stato, ha detto che era dispiaciuto per la morte di Orlando Zapata. Se questo fosse stato vero, adesso avrebbe già fatto liberare i 26 prigionieri di coscienza che sono in gravi condizioni, anzi in punto di morte, secondo i medici. Questo è il mio secondo obiettivo. Ma Raul è stato ipocrita e continua cinicamente a negare questo gesto umanitario. In terzo luogo, voglio che il mondo capisca che il regime comunista cubano cerca di accreditare all'estero un'immagine umanitaria, che però è assolutamente falsa. Infatti, continua, ad esempio, a inviare medici, esperti, star dello sport e dello spettacolo nei paesi del Terzo Mondo per obiettivi di immagine politica (ma anche turistica). Si tratta di un vero inganno perché la realtà è profondamente diversa: è sufficiente vedere gli orrori che accadono all'interno dell'isola e soprattutto nelle carceri assolutamente disumane».


Ma col passaggio dei poteri da Fidel e Raul è cambiato qualcosa? C’è stato, cioè, qualche segnale di apertura,di cambiamento?

«L'unico cambiamento che ho potuto capire è questo: Fidel considerava Cuba una sua impresa privata, Raul considera Cuba e i cubani una propria caserma privata. Non solo, ma la repressione è aumentata moltissimo negli ultimi tempi».


Lei, Farinas, ha fatto il medico psicologo in diversi ospedali cubani, è anche un giornalista, come direttore dell'agenzia "Cubanacàn Press"; è anche coordinatore del Forum Antitotalitario Unito. Per tutte queste attività da dissidente ha subito arresti, processi, condanne, persecuzioni, angherie di ogni tipo, insieme a tanti altri dissidenti, che hanno subito lo stesso trattamento. Anche le "damas de blanco", cioè le mogli e le altre donne, parenti dei prigionieri politici, che ogni domenica escono in corteo, sono sottoposte a insulti, grida offensive e talvolta vengono anche picchiate dalla polizia e dai militanti del regime. C'è ancora uno spazio di iniziativa per lottare a favore dei prigionieri di coscienza e per i diritti umani?

«Penso che nonostante tutto ci sia ancora spazio per la lotta dei dissidenti, anche se molto meno, rispetto al passato. È vero, le signore in bianco non sempre possono marciare per protestare: vengono spesso ostacolate e insultate duramente. Il governo cubano si trova oggi di fronte a due crisi: una crisi di credibilità, che si è accentuata dopo l'assassinio di Orlando Tamayo, che si è tradotta in una repressione più rigida. E poi vi è una crisi determinato dalla corruzione, sempre più estesa, soprattutto nelle alte sfere di governo, militare e civile, dell'isola. Ad esempio, il ministro dell'Industria alimentare Alexandro Roca Iglesias si trova in carcere; anche diversi imprenditori cileni, che avevano deciso di investire a Cuba, si trovano agli arresti da molto tempo e così via tanti esponenti del governo e delle forze armate. È una crisi generalizzata e il regime risponde con la politica del terrore, intensificando la repressione ad ogni livello della società».



Gli intellettuali cubani come vedono il regime comunista in questo momento?

«Gli intellettuali prendono le distanze. Il regime puzza, è canceroso. E loro non vogliono che la puzza arrivi sino a loro. Del resto si difende cercando di manipolare in tutti i modi l'opinione pubblica. Ma gli intellettuali se ne accorgono e, quando non sono all'opposizione, si disimpegnano da ogni iniziativa promossa dal potere pubblico».


Le donne e i giovani cubani come reagiscono oggi nei confronti della dittatura?

«Reagiscono molto di più che in passato. La resistenza è molto più forte. E questo lo si è visto anche al recente congresso dei giovani comunisti, dove molti hanno riconosciuto che i giovani sono demotivati, non hanno più l'entusiasmo di una volta e si rifiutano di entrare nel partito comunista».


Ma nello stesso congresso Raul Castro ha detto che non vuole la morte di Guillermo Farinas?

«Al contrario. Raul ha decretato pubblicamente la mia morte, confermando la mia sentenza di morte capitale. Questo non lo ha detto un giornalista, ma il presidente in prima persona, in un discorso ufficiale".


Farinas, stiamo conducendo ("Zapping" e questo giornale) una campagna per la liberazione dei prigionieri di coscienza in gravi condizioni di salute e per la tutela dei diritti umani a Cuba. Lei però deve continuare a vivere perché le lotte si conducono da vivi e non da morti.

«Spero che il presidente Raul Castro accolga le mie richieste. Diversamente seguirò la scelta del mio amico Orlando Zapata Tamayo, assassinato dal regime. Siamo nelle mani di Dio».

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