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La parola passa agli elettori

Non è un sintomo di disinteresse per la politica, ma questo pasticcio delle liste bocciate, riammesse e ribocciate comincia a stufare gli italiani. Siamo un Paese con forti venature bizantine, è vero, ma è difficile e sgradevole seguire questo tormentone di decreti, sentenze e ordinanze, per non dire dell’immanenza del Tar, soggetto sociale e politico che straripa dalle sue originarie competenze amministrative. Per carità, salvateci dalle carte bollate e dai cavilli. Il Cavaliere probabilmente esagera quando prospetta l’ipotesi di un consapevole complotto fra magistrati, radicali e altri soggetti ignoti – e tuttavia la “gazzarra” c’è stata - ma è nel giusto quando denuncia l’assurdità di un Paese in cui in una regione un competitore possa vincere per la semplice assenza obbligata dell’avversario. Ma in verità è proprio questo ciò che vorrebbe la sinistra con i suoi lamentosi richiami alle regole (quali?) e alla Costituzione. A questa sinistra non basta la garanzia offerta da un supremo magistrato come Giorgio Napolitano, non basta il senso comune della competizione democratica, ciò che conta per il Pd è un successo a tutti i costi nel Lazio, quella terra ricca di destino politico che costituisce la continuazione geografica delle roccheforti rosse del centro e nei cui ambulacri del governatorato vaga ancora l’ombra di Marrazzo.  I sondaggisti si sprecano, sparano numeri e proiezioni, ma resta da vedere come i cittadini accoglierebbero una gara squilibrata in partenza. I trucchi non piacciono a nessuno, quale che sia lo sforzo dei sondaggisti. Intanto, avremo due sabati del villaggio, il 13 e il 20, come pimento di una tornata elettorale. A chi giovano? A rischiare di più sono certamente i dirigenti del Partito democratico. Antonio Di Pietro, che nei momenti politicamente più caldi ne ha condizionato le scelte e le intonazioni, ha già rivendicato la massima libertà di giudizio e di parola. È prevedibile che continuerà ad attaccare il capo dello Stato, a invocare la ghigliottina politica per tutti coloro che sono al di sotto della sua intransigenza – per non dire gli avversari – ma questa campagna esasperata porrà certamente dei problemi al Pd. La parte più responsabile del partito non potrà condividere questo attacco a lancia bassa contro Napolitano e dovrà fare i conti sul peso di un’alleanza troppo spesso scomoda. Silvio Berlusconi avrà il vantaggio di insistere su un solo argomento chiaro e semplice: quali che siano gli errori formali di una parte politica, non può concepirsi una competizione elettorale con un solo, sostanziale, concorrente. Il leader del Pdl ha anche altri problemi. Ha la spina nel fianco di un Gianfranco Fini che non perde l’occasione di smarcarsi da lui, facendo della terza carica dello Stato un’arma dirompente. Ma, stando alle voci che girano in questi giorni di confusione, Berlusconi non ha intenzione di rimediare alle sciatterie riscontrate nella presentazione delle liste, con un’ulteriore centralizzazione del potere all’interno del partito. Vorrebbe,anzi, una maggiore radicazione del Pdl nel territorio, sancita da una serie di congressi provinciali e regionali. La sua leadership non è in pericolo. Il Partito democratico ha problemi diversi. Vive alla giornata, con un alleato infido come Di Pietro e non è assurdo pensare che lo scivolone iniziale del Pdl possa risolversi, alla fine, in un ricompattamento del centrodestra, mentre il vantaggio di partenza del Pd possa tradursi in un suo indebolimento. Tutto è possibile quando a decidere sono gli elettori e soltanto loro.

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