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Fiat, l'appello del Papa faccia riflettere


Il Papa ha dedicato l'omelia di ieri al tema del lavoro. Alla vertenza di Porto Vesme in Sardegna (dove la multinazionale dell'alluminio Alcoa minaccia di chiudere lo stabilimento lasciando a casa 3.500 persone). A Termini Imerese dove sono in pericolo, tra dipendenti diretti e indotto, altri tremila posti. Benedetto XVI ha chiesto di fare il possibile per tutelare e far crescere l'occupazione, «assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie». Gli ha risposto il ministro Sacconi ricordando che il governo italiano ha già stanziato otto miliardi per ammortizzatori sociali e cassa integrazione. Uno sforzo titanico che ha consentito all'Italia di mantenere il tasso di disoccupazione all'8,5%. Più bassa della media europea (9%). Infinitamente meglio della Spagna del socialista Zapatero che fino a ieri era considerata la tigre del Vecchio Continente. Oggi si trova con un lavoratore su cinque a casa. Proprio prendendo spunto dalle parole del Santo Padre converrà fare qualche riflessione. La prima riguarda Portovesme dove la crisi è provocata dall'elevato costo dell'energia di cui la produzione di alluminio ha gran bisogno. Se lo ricordino bene quanti, anche all'interno del mondo cattolico, si battono contro il nucleare. Se i posti di lavoro saltano non è per colpa di un destino cinico e baro o della rapacità dell'impresa. La seconda notazione su Termini. Se, per motivi di pace sociale si fa in modo - con incentivi, vantaggi fiscali, sovvenzioni e comunque senza cambiare il modello produttivo - che quell'impresa non chiuda, è evidente che toccherà allo Stato ripianare le perdite. Per farlo utilizzerà il denaro ottenuto dalle tasse pagate dai cittadini che producono. In altri termini, sottrarrà risorse a chi crea ricchezza per darle a chi le distrugge. È giusto? Abbiamo scritto: «Senza cambiare modello produttivo». Dunque basterebbe cambiare quel modello. Purtroppo, in alcuni casi non c'è modo di farlo; e comunque, se quella possibilità esiste e i dirigenti attuali non l'identificano, sta a chi vuole salvare l'impianto suggerirla. Invece l'esperienza insegna che se l'impresa dicesse ai lavoratori: «Qui ci sono le chiavi. Organizzatevi, nominate il dirigente di vostro gradimento, rendetevi produttivi e dividetevi i profitti», otterrebbe un netto rifiuto. Bisogna allora apprezzare il fatto che sia stato un sindacalista cattolico come Raffaele Bonanni, segretario della Cisl a fornire la migliore interpretazione delle parole del Papa: «Serve senso di responsabilità da parte di tutti, governo, opposizione, imprenditori, sindacati, banche, per uscire da questa crisi e rilanciare l'occupazione». Difficile non essere d'accordo.

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