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Una guerra fredda fra le macerie

Guerra fredda fra le rovine. Sopra e sotto le rovine. Mentre metà Paesi del mondo fanno a gara per estrarre dalle macerie gli ultimi sepolti vivi e i tanti morti sepolti di Port-au-Prince e dintorni, la politica comincia a mettere i soccorritori l'uno contro l'altro: l'America Latina è gelosa dell'Europa, l'Europa degli Stati Uniti.
Troppo caos, troppa burocrazia, troppo zelo, rispettivamente e a tratti perfino mescolati. Troppo di tutto: molti lo pensano, Putin lo dice e manda a Washington il più singolare, anzi surreale dei moniti: gli americani la smettano di esagerare con gli aiuti umanitari agli haitiani e, in particolare, di affidare le intere operazioni di soccorso (e anche i piani per la ricostruzione) a una massiccia presenza militare. "Non esagerate", l'uomo del Cremlino manda a dire all'uomo della Casa Bianca, perché avete dei brutti precedenti.
Chi legge tende a sfregarsi gli occhi, chi ascolta a cercare di capire. La prima impressione sarebbe quella di un ricatto (che il presidente nero degli Usa non si occupi troppo degli abitanti neri dell'"isola maledetta" sennò… Sennò cosa?)
Sennò può spuntare un nuovo motivo di "rigelo" a interrompere il processo di "ri-normalizzazione" fra i protagonisti della ex Guerra Fredda dopo gli abbracci di subito dopo la caduta del comunismo e la sparizione dell'Unione Sovietica ma anche dopo le ritrovate tensioni degli anni di Bush. Obama vuole notoriamente ricostituire e consolidare le amicizie, a cominciare da quella col Cremlino. Gli interessi del Cremlino coincidono con i suoi e nessun posto al mondo sembra meno atto a resuscitare delle rivalità: Haiti è entrata sì più volte nel gioco delle grandi potenze, a cominciare naturalmente dalla Francia: perfino Napoleone lanciò un attacco militare ma i russi con Haiti non hanno mai avuto nulla a che spartire. In altre isole caraibiche sì, soprattutto a Cuba (dove il mondo rischiò per la prima e finora unica volta guerra nucleare), ma hanno smesso ormai da un quarto di secolo.
In quella area del mondo non hanno interessi né capitali né veniali, molto meno, per esempio, della Cina.
E allora perché? Probabilmente proprio perché è una provocazione senza rischio e anche perché, se il buon senso e il buon cuore stanno dalla parte di Obama, la storia offre più di un motivo a chi cerchi di attizzare il fuoco delle polemiche.
Dopo Napoleone, infatti, a dominare in quell'area del mondo è stata sempre l'America, che vi ha giocato le partite più facili insite nella "dottrina Monroe": a Panama, in Nicaragua, nel Salvador, nella Repubblica Dominicana, più recisamente, certo, in Messico. Haiti è uno dei teatri più secondari, anche sul piano economico dopo il tramonto dell'"era della canna da zucchero". Eppure è stata occupata militarmente e in "prima persona" dai marines fra il 1915 e il 1934. Riportati i soldati a casa, gli americani hanno allentato le redini mentre una dinastia di dittatori, i Duvalier, le tirava sempre più stesse, da "papa Doc" a "baby Doc". Washington non è stata estranea alla cacciata della dittatura nel 1986 poi ha lavorato per la democrazia. Non le è andato a genio il vincitore delle prime libere elezioni, quell'Aristide prete rivoluzionario. Non è stata, come minimo, colta di sorpresa dal golpe che lo ha scacciato nel 1991, quando era presidente George Bush sr.
Quando ne è conseguita una dittatura Bill Clinton si è dato da fare per abbatterla mandando i marines e sormontando l'opposizione tenace e snervante di un predecessore ultrapacifista, Jimmy Carter, che per qualche tempo si offrì addirittura come ostaggio per impedire con la sua presenza ad Haiti l'attacco militare e cercò una riconciliazione in extremis invitando il dittatore del momento a unirsi a lui sul pulpito delle prediche domenicali della chiesa battista di Plains, in Georgia. Prevalse Clinton e mandò 20mila soldati e, nella loro scia, Aristide, che fu debitamente rieletto e debitamente rispedito in esilio dopo una nuova rivolta di cui George Bush jr. si disinteressò. E adesso riecco i marines, seppure armati principalmente di vanghe. Ma non soltanto di quelle. E Obama parla di una presenza a lungo termine. Una buona scusa per chi al Cremlino aspettava l'occasione per una puntura di spillo. La nuova distensione non è così avara.
Basti ricordare la piccola guerra fra Russia e Georgia, le attenzioni americane per l'Ucraina, le "provocazioni" insite nel progetto dello scudo missilistico contro ipotetici attacchi dell'Iran da piazzare in un'area remota fra la Polonia, la Lituania e la Russia. Un progetto di Bush che Obama ha cestinato, deludendo i polacchi, che proprio adesso hanno annunciato di voler piazzare dei loro missili terra-aria al confine con la Bielorussia. Esercizi di scherma paralleli alla tragedia all'altro capo del mondo.
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