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Il primo giorno di Draghi a Palazzo Chigi: "Sarà un governo ambientalista"

«Mettere in sicurezza l’Italia e aiutarla a ripartire». Mario Draghi indica ai ventitre ministri riuniti per la prima volta attorno al tavolo del Cdm il compito improbo che li attende. Nel giorno del giuramento, mentre i leader europei plaudono al nuovo governo, il presidente del Consiglio non tradisce il suo stile e non rilascia dichiarazioni pubbliche ma parla ai ministri, che vengono da storie politiche e personali ma anche da esperienze diverse: è un invito alla coesione, a lavorare insieme mettendo i bisogni di un Paese in forte difficoltà, davanti agli «interessi di parte».

Chiede loro, nel solco einaudiano, di comunicare poco e far parlare i fatti, di fronte ci sono non solo le aspettative dei cittadini ma anche le sensibilità di una maggioranza larghissima, solcata da profonde divergenze e da diversi malcontenti, dopo l’annuncio della squadra dei ministri.

Il giuramento al Quirinale senza parenti, con mascherine e distanziamento anche nella foto di rito con il presidente Sergio Mattarella, il cortese passaggio della campanella da Giuseppe Conte con disinfettante per le mani, i pannelli di plexiglas che separano i ministri in Cdm: tutto dà il segno dell’eccezionalità. Eccezionali i tempi, inedita la maggioranza, che va dalla sinistra alla Lega.

Ai ministri il premier, che al primo giorno a Palazzo Chigi fa segnare sempre qualche minuto d’anticipo sui tempi fissati dal cerimoniale, fa gli auguri di buon lavoro e indica uno dei tratti che saranno fondamentali nell’azione dell’esecutivo: «Il nostro sarà un governo ambientalista, qualsiasi cosa faremo, a iniziare dalla creazione di posti di lavoro, terrà conto della sensibilità ambientale», dichiara.

In Consiglio si avvia la discussione sul nuovo ministero della Transizione ecologica, che dovrà essere 'disegnato' con una legge, forse un decreto: al nuovo ministro Roberto Cingolani farà capo un comitato interministeriale di coordinamento, che potrebbe essere il cuore pulsante dell’azione sul Recovery plan.

Mercoledì il governo Draghi si presenterà in Senato per la fiducia, giovedì è previsto il dibattito alla Camera. Nel giorno del giuramento arrivano gli auguri dei leader stranieri e in particolare dalle istituzioni e dalle cancellerie europee forti attestati di stima: lavoriamo insieme «per un’Europa più forte», per un nuovo multilateralismo, «per il futuro dei giovani», dicono all’unisono Angela Merkel ed Emmanuel Macron. E’ il segno, osserva chi ha avuto modo di sentire il premier, che è ampiamente condiviso l’altro pilastro dell’azione del nuovo governo, ossia lavorare insieme ai partner europei per un’Unione europea ambiziosa - Draghi la vorrebbe sempre più integrata - per puntare a una ripresa comune. Per far marciare l’esecutivo in modo che affronti in tempi rapidi l’impresa del Recovery e insieme i grandi capitoli della crisi, dai vaccini al lavoro, serve però una maggioranza non litigiosa. Un obiettivo difficile, visti i nervosismi della prima ora.

Nelle ore in cui Conte, sui social, rilancia il suo impegno politico «per l’equità e la sostenibilità», il Movimento 5 stelle è in subbuglio, con una pattuglia di parlamentari pronti a non votare la sfiducia e diversi mal di pancia interni, per la scelta di ministri (D’Incà e Dadone sono vicini a Fico) che non rispecchierebbero del tutto gli equilibri interni e non avrebbero più come con Conte deleghe pesanti, al netto del ministero degli Esteri.

Malcontento serpeggia anche nel centrodestra, dove sono stati premiati i moderati e penalizzati i più sovranisti. Se il Pd può contare su tre ministeri di peso e Leu sulla Salute, Iv è stata molto ridimensionata, con la sola delega alla Famiglia. Ecco perché già si affacciano appetiti per la prossima partita della nomina di viceministri e sottosegretari.

Draghi, che nel pomeriggio lavora a Palazzo Chigi con il sottosegretario Roberto Garofoli ma senza un proprio staff, avrebbe già aperto il dossier, per chiuderlo in tempi rapidi. Lo schema dovrebbe essere ancora quello del Cdm: alcune figure tecniche con deleghe delicate (non si escludono altri tecnici, come Ernesto Ruffini all’Economia) e altre politiche.

Non ci sarà una compensazione numerica tra i partiti, ma alcune deleghe più pesanti potrebbero arrivare per chi, come Fi, ha avuto solo ministeri senza portafoglio. La Lega, rappresentata da Giancarlo Giorgetti, il suo fedelissimo Massimo Garavaglia e la veneta Erika Stefani, avrebbe chiesto più peso, con sottosegretari vicini a Salvini e deleghe importanti, considerando Giorgetti in "quota Draghi". Ci sarebbe poi il nodo dell’Editoria, che il M5s, gira voce in ambioenti parlamentari, vorrebbe per Vito Crimi. Come segretario generale di Palazzo Chigi potrebbe arrivare un grand commis di esperienza o un giovane consigliere di Stato.

 

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