Un discorso del tutto
improvvisato - anzi, che non era neanche previsto - pronunciato
in assoluta spontaneità, e che è diventato uno dei momenti più
alti di tutta la storia del papato del ventesimo secolo. Quella
sera dell'11 ottobre 1962, data d'apertura del Concilio Vaticano
II, dinanzi alla Piazza San Pietro illuminata dalla fiaccolata
in onore dell'assise mondiale che si era inaugurata in Vaticano,
Giovanni XXIII fu veramente baciato dalla grazia per quello che
sarebbe passato alla storia come il «discorso della luna».
«Cari figliuoli, sento le vostre voci. La mia è una voce
sola, ma riassume la voce del mondo intero; qui tutto il mondo è
rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata,
stasera - osservatela in alto! - a guardare a questo
spettacolo», esordì il «Papa buono», allora già colpito dalle
prime avvisaglie della malattia - un tumore allo stomaco - che
pochi mesi dopo, il 3 giugno 1963, l'avrebbe portato alla morte.
L'applauso della folla cominciò subito a sottolineare i
suggestivi passaggi di una delle allocuzioni in assoluto più
celebri della storia della Chiesa.
Il Papa salutò dapprima i fedeli della diocesi di Roma,
essendone anche il vescovo, e si produsse in un atto di umiltà
forse senza precedenti, affermando tra le altre cose: «La mia
persona conta niente, è un fratello che parla a voi, diventato
padre per volontà di Nostro Signore, ma tutti insieme paternità
e fraternità è grazia di Dio». E proseguì, in un eloquio ancora
oggi emozionante: «Continuiamo, dunque, a volerci bene, a
volerci bene così, a volerci bene così, guardandoci così
nell'incontro, cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte
quello - se c'è - qualche cosa che ci può tenere un pò in
difficoltà». Quello di Roncalli fu anche un inno alla
fraternità. «Niente: Fratres sumus! - esclamò - La luce che
splende sopra di noi, che è nei nostri cuori, che è nelle nostre
coscienze, è luce di Cristo, il quale veramente vuol dominare,
con la Grazia sua, tutte le anime».
Contavano molto le impressioni di quel giorno storico, con la
Chiesa universale riunita in San Pietro per un Concilio che -
allora lo si poteva solo immaginare - ne avrebbe cambiato il
corso successivo. «Stamattina - disse il Papa - è stato uno
spettacolo che neppure la Basilica di San Pietro, che ha quattro
secoli di storia, non ha mai potuto contemplare. Apparteniamo
quindi ad un'epoca, nella quale siamo sensibili alle voci
dall'Alto: e vogliamo essere fedeli e stare secondo l'indirizzo
che il Cristo benedetto ci ha fatto».
Poi ancora alcuni dei passaggi più profondi. «Questa sera -
annotò il Pontefice - lo spettacolo offertomi è tale da restare
ancora nella mia memoria, come resterà nella vostra. Facciamo
onore alla impressione di questa sera. Che siano sempre i nostri
sentimenti come ora li esprimiamo davanti al Cielo e davanti
alla terra: fede, speranza, carità, amore di Dio, amore dei
fratelli; e poi, tutti insieme, aiutati così nella santa pace
del Signore, alle opere del bene».
E, sulla linea dell'umiltà, prima della benedizione finale
Papa Giovanni impartì un ordine da Pontefice ma con le parole di
un curato di campagna: «Tornando a casa, troverete i bambini;
date una carezza ai vostri bambini e dite: "Questa è la carezza
del Papa". Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate
qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente
nelle ore della tristezza e dell'amarezza».
Il discorso di Roncalli, trasmesso anche dalle tv, commosse
il mondo intero per la chiarezza e la semplicità, oltre che per
la poeticità e la dolcezza dei suoi contenuti, con il richiamo
straordinario alla luna e la struggente frase relativa alla
«carezza del Papa i bambini». Un momento, come pochi altri, di
empatia diretta con il popolo dei fedeli sparso in ogni angolo
del pianeta, e che ancora oggi, a più di cinquant'anni di
distanza, fa emergere il carattere profetico di un pontificato
destinato ad assurgere agli onori della santità.
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