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Ironia e umanità, lo sguardo sul mondo di Elliot Erwitt

ABANO TERME - Il lato surreale e drammatico dell' esistenza, il sorriso e la lacrima, l' occhio guidato dalla voglia di fissare la vita con ironia e profondità. ''Tutto è serio ma può anche non esserlo'' ha detto Elliot Erwitt del suo modo di guardare il mondo. Uno dei più grandi fotografi viventi ha fatto di questa duplice chiave di lettura dell' esistenza il perno della sua lunga ricerca con l' obiettivo puntato sui bambini, i cani, la quotidianità dei rapporti familiari, il razzismo, i viaggi, le star, i grandi della terra. "Raramente metto in scena immagini, le aspetto... lascio che si prendano il loro tempo. Questo è meraviglioso: le cose possono succedere".
    A raccontare l' attesa del momento giusto inseguito dal maestro americano è ad Abano Terme la mostra ''Vintage' che mette insieme a Villa Bassi fino all'11 giugno prossimo 154 immagini di piccolo taglio poco conosciute e trenta lavori celebri di grandi dimensioni.
    ''In questi anni abbiamo visto le sue fotografie celebri, qui invece abbiamo un corpus di scatti di piccolo formato 12x17 tutti firmati e selezionati da lui per un progetto per un museo tedesco negli anni Novanta che siamo riusciti a portare per la prima volta in Italia'', spiega Marco Minuz, il curatore. Sono foto inedite che vanno dagli anni Cinquanta agli anni Novanta del secolo scorso riconducibili ai grandi temi della ricerca di Erwitt. Alla mostra - che segue i capitoli fotografici fortunati dedicati Eve Arnold e Robert Capa - si è arrivati dopo un confronto con la mitica agenzia Magnum e i collaboratori dello studio del maestro, che ha 94 anni e vive a New York. Nato nel 1928 da genitori russi emigrati a Parigi, Erwitt è cresciuto a Milano e a dieci anni è emigrato con la famiglia negli Stati Uniti d'America. Fu proprio Robert Capa nel 1955 Robert Capa a proporgli di entrare unirsi alla Magnum Photos. In quello stesso anno il direttore del dipartimento di fotografia del MoMA di New York Edward Steichen selezionò alcune sue fotografie per la celebre mostra "The Family of Man". Dieci anni dopo il museo ospitò la sua prima personale.
    ''Lo sguardo di Erwitt è ironico ma mai superficiale o volgare - osserva Minuz -. Negli anni Cinquanta il razzismo era ancora molto forte negli stati americani del sud. Lui lo ha affrontato con una leggerezza legata sempre alla riflessione''. Non era interessato ai paesaggi ma alla gente, alla sua reazione non cerebrale. 'Non m'importa se dopo le mie foto vengono analizzate ma voglio che prima ci sia un contatto emotivo''.
    Indagando sui cani, altro tema centrale, ha cercato di cogliere in loro 'elementi di umanità' e descritto in quegli stessi anni la trasformazione del legame tra le famiglie e gli animali domestici. Un altro aspetto importante del suo lavoro è il punto di vista. ''Erwitt lo ha cambiato spesso, a volte abbassandolo per cogliere aspetti grotteschi della nostra quotidianità. Ma ha riservato grande attenzione alla composizione dell' immagine. E' stato un grande fotografo anche per questa sua capacità''.
    Il colore è ''descrittivo'' - spiegò - e lo usava per i lavori su commissione o su larga scala; l bianco e nero, ''interpretativo'', per la sua ricerca molto più privata. La sua grande dote ricorda il curatore, era di non prendersi mai troppo sul serio ma nel corso degli anni con la forza della sua ricerca è riuscito a far emergere i mutamenti radicali all' interno della società. Un lavoro ispirato dalla severità ma sempre con un elemento di scarto, una vena sottile che fa la differenza. ''Quando riesci a far ridere e piangere qualcuno, alternativamente, come fa Chaplin, questo è il più alto di tutti i risultati possibili", ha detto Erwitt.
    E oggi, in un'epoca in cui il cellulare dà a tutti l'illusione di sentirsi grandi fotografi connessi senza sosta nel carosello globale del web, quale è la lezione di un maestro come lui? ''Ci ricorda che non basta vedere - osserva Minuz - e ci insegna ad osservare cercando di cogliere aspetti più profondi della nostra superficialità dettata dai tempi sempre più serrati. Le immagini conservate nei dispositivi digitali spesso vengono dimenticate. Stiamo perdendo pezzi di memoria costruendo archivi effimeri destinati a svanire''. (ANSA).
   

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