Da un lato la critica contro il disordine del mondo. Quindi la ricerca di una verità che spezzi i paradigmi e le ambiguità costruite. Cè questa lettura irriverente della realtà nelle opere di Ryan Mendoza che compongono la mostra The golden Calf ('Il vitello doro') organizzata a Palazzo Reale dalla Fondazione Federico II. Dietro cè un lavoro durato tre anni, ispirato e seguito da Paola Nicita, nella casa dellEtna in cui Mendoza vive con la moglie Fabia e il piccolo Dylan, pure loro presenti allinaugurazione del percorso espositivo che resterà aperto fino al 26 settembre. Gli interventi di Gianfranco Micciché, presidente dellArs e della Fondazione, e di Patrizia Monterosso, che della Fondazione è direttore generale, hanno tracciato il senso di una mostra nella quale si ritrovano un polittico di nove elementi, lavori in vetro, animali di peluche: un cumulo di giocattoli che rappresentano le tante libertà sottratte. Quella di Mendoza è unarte poliedrica, ha sottolineato Patrizia Monterosso, che richiama le inquietudini della società con una visione critica del culto dei falsi miti, simboleggiati dal vitello doro. In questo modo gli spazi del Palazzo Reale, nei quali la mostra è distribuita, diventano luoghi di bellezza ma anche di contenuti. Larte di Mendoza traccia quindi un percorso concettuale che demolisce le ambiguità con il linguaggio degli anti-eroi e dellanti-narrazione. Simbolo di questa inquieta rappresentazione sono i pipistrelli metafora di una società spenta e soggiogata, ha detto Mendoza: uno è nel giardino di Palazzo Reale, gli altri sono stati distribuiti tra il museo archeologico Mann di Napoli, il complesso dello Steri e lOrto botanico di Palermo. Mendoza rivendica un rapporto aperto con la cultura e la storia della Sicilia. Non cerco - dice con fermezza - i suoi colori e i suoi paesaggi perché non lavoro per il turismo. Semmai ho cercato di portare qui un pezzo di America.