NEW YORK - Al posto degli scalpellini di Fidia il braccio di un robot supertecnologico. Passa da un laboratorio sospeso tra il mare di Versilia e le Alpi Apuane la sfida al British Museum sui marmi del Partenone. Alla TorArt, azienda di eccellenza di Carrara specializzata nel campo della scultura robotica, un braccio meccanico sta modellando un cavallo del fregio che all'inizio dell'Ottocento lo statista scozzese Thomas Bruce, settimo conte di Elgin, strappò dal tempio di Atena sull'Acropoli. Reclamati dalla Grecia, i rilievi sono a Londra dal 1817.
L'iniziativa di 'clonarli' a grandezza naturale nasce all'Institute of Digital Archeology, l'organizzazione con base a Oxford che nel 2016 ricostruì e fece girare per il mondo l'Arco di Palmira distrutto l'anno prima dall'Isis. Come per Palmira, l'istituto anche stavolta si è appoggiato a TorArt. Da marmo estratto dalle Apuane il robot Robotor di Giacomo Massari e Filippo Tincolini ha realizzato il prototipo che sta facendo da base alla copia del cavallo in marmo pentelico, lo stesso usato sull'Acropoli.
Un mix di algoritmi, tecnologia e artigianalità ai massimi livelli. Una nuova era della scultura, non più fatta di pietre e scalpelli ma di scansioni, nuvole di punti e progettazione che assolvono l'uomo da lavori usuranti e rischiosi. Le copie, nelle intenzioni dell'americano Roger Michel, il direttore di Institute of Digital Archaeology, dovrebbero idealmente finire al British Museum: "L'obiettivo è incoraggiare la restituzione dei marmi", ha detto al New York Times: "Quando due persone vogliono la stessa torta, farne un'altra identica è l'ovvia soluzione". Michel e Alexy Karenowska, la direttrice tecnica dell'Istituto, hanno fatto ricorso a tattiche di guerriglia, presentandosi al British da normali di visitatori dopo che il museo qualche mese fa ha respinto la richiesta ufficiale di scannerizzare il fregio. Armati di iPhone e iPad di ultima generazione, hanno creato immagini digitali in 3D che sono state poi caricate sui robot-scultori della TorArt. I modelli finali in pentelico saranno pronti a fine luglio per essere alla fine esposti a Londra, presumibilmente in prossimità del museo che contiene gli originali. Altre due copie completate nel corso dell'estate saranno ritoccate per riportare agli originali senza pezzi mancanti o danni subiti nel corso degli anni, come quando, alla fine degli anni Trenta, il British sottopose i marmi a una pulizia estrema che ne asportò la patina: "Le nostre repliche avranno tracce di colore", applicato a mano con l'assistenza di esperti greci "per immunizzarci dalle critiche accademiche", ha detto Michel. Che i monumenti dell'antichità classica fossero in technicolor è ormai appurato dagli addetti ai lavori: al Met di New York è stata appena inaugurata la mostra "Chroma" che esplora l'uso dei pigmenti nella scultura greco-romana. La disputa sui fregi del Partenone va avanti da decenni: per bocca del presidente del British, l'ex Cancelliere dello Scacchiere George Osborne, lo scorso giugno Londra ha aperto a un possibile accordo di condivisione con Atene che però reclama la piena proprietà delle sculture. L'Italia per parte sua ha fatto da apripista mandando in Grecia un frammento del fregio conservato finora nel Museo archeologico Antonio Salinas di Palermo.