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Navi e mondine, l'Italia nell'occhio di Berengo Gardin

Da un fazzoletto di prato nei dintorni di Bergamo il sorriso distratto della comitiva di gitanti - le Fiat '500 parcheggiate sull'erba a un passo dalla tovaglia stesa in terra - restituisce in un istante l'orgoglio dell'Italia anni '60 con tutta la fiera speranza nel boom economico che allora si affacciava. Poco più in là, siamo a metà degli anni '70, lo sguardo pieno di apprensione di una donna migrante, le mani strette sui manici di borse e valige, riempie di sgomento un angolo della Stazione Centrale di Milano. Poi giri l'angolo e sei a Venezia con il muso mostruoso delle Grandi Navi che si affaccia inquietante sul bacino di San Marco. Il Maxxi rende omaggio a Gianni Berengo Gardin con una mostra che seleziona 200 scatti "tutti italiani" del grande fotografo che con i reportage dai manicomi spinse e aiutò la Legge Basaglia, amico e complice di artisti e intellettuali che hanno fatto il Novecento italiano, da Mario Pannunzio a Zavattini, da Luigi Nono a Emilio Vedova, e quello che va in scena è un ritratto lungo sessant'anni della storia sociale del paese, "un viaggio nel tempo e nello spazio che racconta meglio di tanta saggistica la storia del lavoro italiano, le nostre tante città", sintetizza appassionata la presidente Giovanna Melandri. Seduto accanto a lei, giusto un velo di emozione sui 92 anni portati alla grande, Berengo confessa di aver desiderato al punto da richiederla personalmente una sua personale nel museo di cui dieci anni fa fu chiamato a fotografare il cantiere. E non perde d'occhio un momento la sua Leica, strumento di un mestiere che è ancora passione senza mai pause. "Quando esci di casa senza macchina fotografica c'è sempre qualche inquadratura che avresti voluto fermare sulla pellicola, meglio non rischiare", ha spiegato tante volte. Oggi lo ripete, così come torna a spiegare la sua fedeltà alla pellicola, che ostinatamente preferisce al digitale, "è il mio dio", sorride, ma anche la sua distanza dal photoshop, che "tarocca le foto", tanto che da anni contrassegna le sue stampe con il timbro VERAFOTOGRAFIA.

 

Curata con maestria da Margherita Guccione e Alessandra Mauro, con un allestimento che riecheggia l'andamento sinuoso del Canal Grande nell'amatissima Venezia, la mostra del Maxxi - aperta da domani al 18 settembre - vanta un titolo ("Berengo Gardin. L'occhio come mestiere"), che cita il lavoro di Cesare Colombo, amico e collega di una vita. L'idea è proprio quella di raccontare l'Italia attraverso i suoi occhi e per questo, con l'aiuto della figlia Susanna Berengo Gardin (l'altro figlio, Alberto, art director, ha lavorato su allestimento e catalogo) è stata fatta una selezione nel mare magnum dell'archivio milanese del fotografo, che di scatti ne contiene oltre 1 milione e 800 mila. Dal celeberrimo reportage nei manicomi alla vita nei campi nomadi, le mondine inchinate nelle risaie, gli operai sulle gru, le lavoratrici stagionali nei loro poveri dormitoi, tra foto ormai iconiche e altre inedite un racconto in bianco e nero che rapisce fino quasi a inghiottire chi si avvicina con gli infiniti particolari di ogni scatto, dietro ogni volto una storia che si affaccia, un racconto, un brandello di vita, tanta poesia che ogni volta si sprigiona dallo sguardo partecipante che si intuisce dietro l'obiettivo. Un rigoroso lavoro di documentazione, ribatte lui, sapienza da artigiano, come ostina a definirsi. Di certo un filo di assoluta coerenza e un'immensa passione per il mestiere lega insieme, scatto dopo scatto, paesaggi, ritratti di intellettuali, interni che hanno fatto la storia come la stanzetta ordinata e un po' naif del bandito Giuliano o la casa di Gramsci a Oristano. In fondo alla sala una grande installazione ripropone le copertine degli oltre 200 libri pubblicati ed è difficile davvero trovare un vuoto, un argomento sul quale non si sia soffermato. Gli chiedono della guerra. La guerra no, risponde lui, la guerra non l'ho mai fotografata. "La guerra è terribile, quella in Ucraina ancora di più". Si alza, la Leica è di nuovo a tracolla. Melandri gli chiede di tornare a fotografare il nuovo cantiere del Maxxi e la risposta è un sì senza tentennamenti. Mestiere e vita in lui sembrano una cosa sola.

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