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Prosecco e Radicchio, l'oro del Trevigiano che piace al turismo

La strada del Prosecco è la traccia più visibile sulla carta ma, per il viaggiatore curioso, è solo una delle infinite possibilità. Il tracciato pare infatti essere stato disegnato apposta per suggerire deviazioni continue inseguendo l'ispirazione del momento, magari accesa solo da particolari e fugaci giochi di ombre e di colori o dalla visione inattesa di un borgo o di una piccola cantina. Lo spumante più venduto al mondo può raggiungere ogni angolo del globo ma il luogo in cui sa esprimersi meglio è necessariamente quello in cui è nato, nella fascia collinare tra Conegliano e Valdobbiadene, se intendiamo l'area del “Prosecco superiore Docg”. Senza per questo escludere, beninteso, la più recente denominazione “Asolo Montello”, sul quadrante collinare destro rispetto al corso del Piave, o le estese pianure fra Veneto Orientale e Friuli dove sono stesi i 25 mila ettari della Doc in cui operano 11 mila aziende viticole, 1.200 vinificatori e 350 case spumantistiche. Sono contesti in cui, nei mesi delle estenuanti incertezze sulla sicurezza degli spostamenti in tempo di Covid, hanno trovato sfogo flussi polverizzati di visitatori, anche di prossimità, che, in larga misura, di questi territori avevano solo sentito parlare o ne avevano una sommaria visione attraverso reportage televisivi. E' così accaduto che, nel mese culmine dell'estate, agosto, gli arrivi di visitatori siano lievitati di quasi 20 punti rispetto a due anni prima, con pernottamenti cresciuti addirittura del 28% e non di rado in strutture ricettive minime sul modello dei bed and breakfast a gestione familiare, nati secondo una tendenza spontanea originata anche grazie all'inserimento dell'area tra i siti patrimonio dell'umanità dell'Unesco. Se il percorso tra i rilievi pedemontani è considerato il primo itinerario ufficiale istituito in Italia per cucire assieme i piccoli poli di produzione di un'area vinicola, un ulteriore record riguarda la fondazione della prima scuola enologica, nel 1876, a Conegliano, da parte dell'ingegnere ed enologo lombardo Giovan Battista Cerletti, al quale va riconosciuto il merito di aver raccolto ed organizzato conoscenze su coltivazioni e vinificazioni di cui si ha traccia nell'area fin dal medioevo. Forse non così blasonato e di certo meno vistoso in termini economici è un altro prodotto della terra squisitamente veneto e assunto a pieno titolo nel paniere delle migliori produzioni del Made in Italy. Si tratta del radicchio, anche in questo caso espressione che racchiude nove varietà, cinque delle quali etichettate Igp, differenziate per stagionalità e tecniche di coltivazione ereditate ancora una volta da studi ed esperienze antichi. Di sapore più amaro o delicato, precoce o tardivo, allungato o con foglie simili a petali e diversamente striate, i radicchi paiono non smettere mai di suggerire agli chef soluzioni per proporre piatti sempre tesi fra il classico e il mai sperimentato prima, comunque rispettando rigorosamente le precise finestre di maturazione stagionale. Di radicchio, benché ancora chiamato cicoria invernale, esistono appunti nei registri cinquecenteschi dell'Orto botanico di Padova mentre Treviso è senz'altro la città nella quale, nel dicembre del 1900, fu organizzata in pieno centro storico la prima Mostra ufficiale del “fiore che si mangia”.

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