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Antonietta Raphael, la straniera di passaggio

Donna indipendente e anticonformista. Anima dalle fortissime radici culturali ma con una spiccata vocazione europea. Talento nutrito dai più vivi fermenti artistici del primo Novecento, capace di passare dalla carta ("il disegno prima di tutto", diceva) alla tela e ancora alla materia (passando per il violino), con quelle sculture così grandi che fecero dubitare a molti fossero forgiate da mani femminili. Troppo, troppo a lungo Antonietta Raphael (Kaunas 1895 - Roma 1975) è stata vampirizzata da una consuetudine al maschile che spesso (ancora) colpisce le donne nell'arte, oltre che da quell'unione con il padre delle sue figlie, Mario Mafai, che pure arrivava a nascondere i propri lavori in casa per mostrare invece quelli della compagna. Oggi è la Galleria Nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma a raccontarla con "Antonietta Raphael. Attraverso lo specchio" (fino al 30 gennaio 2022), mostra curata da Giorgia Calò e Alessandra Troncone, con la supervisione scientifica della figlia Giulia Mafai (scomparsa appena due mesi fa) e la collaborazione di Ariel Mafai Giorgi.

Un omaggio, racconta la direttrice della Galleria Nazionale, Cristiana Collu, "che restituisce i frammenti di un corpus di opere molto articolato e di una vita intensa, piena, operosa e devota all'arte. Racconta di un'artista che ha detto la verità, in modo olimpico, animale senza illusioni, con ferocia e con determinazione, quella che ha speso nelle lotte dei suoi incubi, sempre definiti sogni, e quella che ha profuso per plasmare la materia, dura come quella della pietra e del palissandro o tenera come l'argilla o la pasta di colore sulla tela". Una verità che corre oggi nelle tele dai colori sgargianti, nelle forme delle sue sculture mai davvero terminate ("la parola finito le sapeva di morte", raccontano le curatrici), nella fitta corrispondenza con Mafai, e che sempre sembra animarsi del suo vissuto personale. Un racconto tanto corposo, cui la figlia Giulia ha dedicato anche il romanzo La ragazza col violino (ed. Skira), e che oggi in mostra ha bisogno di una parete di 14 metri per contenerne tutta la timeline. Rimasta senza padre a cinque anni, emigrante a Londra con la madre, la Raphael veniva dalla Lituania dello zar di tutte le Russie, senza documenti, senza casa e senza lingua. "Era riuscita a rifiutare una storia già scritta di ragazza povera - ricordava sua figlia Giulia - Non voleva essere come le eroine dei romanzi che di nascosto leggeva. Alla morte della madre, aveva lasciato Londra e i suoi irrealizzabili progetti di pianista concertista per partire alla scoperta del mondo". Sulla sua strada c'è Parigi, la Grecia di Omero, l'Egitto dei faraoni, soprattutto Roma, dove viene travolta dalla luce e dei colori del Mediterraneo e dove all'Accademia del nudo per compagni si ritrova gli inseparabili Mafai e Scipione. Lei porta a loro le influenze del gotha dell'East End londinese e della Parigi di Degas e Soutine, loro le aprono le porte dei collezionisti italiani. "La straniera di passaggio, così la presentava Mafai", raccontano le curatrici, che hanno costruito un percorso attraverso la sua ricca produzione, fatto di rimandi e sdoppiamenti, "allo specchio", appunto.

Quattro le aree tematiche: l'autoritratto con anche il celebre dipinto che la vede in tuta blu da lavoro e molti "riflessi" nelle opere di Mafai; la femminilità e maternità, con il drammatico Il parto (quando ebbe la prima figlia la Raphael era sola e non sposata nella Firenze del 1926) e le Tre sorelle, la scultura del 1936 che portò alla Biennale e ora fa parte della collezione della Galleria nazionale; le origini ebraiche, con la Giuditta e Oloferne che, secondo alcuni, ha il volto dello stesso Mafai; e infine il suo entourage con i ritratti di figure per lei cruciali come Giacomo Manzù e Renato Guttuso. "Tra gli inediti - aggiungono le curatrici - anche il passaporto che si temeva perduto, con la data di nascita visibilmente modificata, forse per ridurre la differenza di età con Mafai. E il ritratto di Giuseppe Berti".

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