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Come il Covid ci ha cambiati tra istantanee e foto autore

 MONTEBELLUNA - Ci sono il gel, le mascherine e i guanti amati e odiati scudi anti virus assieme a pasticche, saturimetro e termometro. C'è il divano, re del lockdown assieme a ciabatte, scarpe da ginnastica e alle forbici con cui i più coraggiosi si sono tagliati i capelli... Ma ci sono anche le fotografie con cui si tengono stretti gli affetti, soprattutto quelli che il Covid ci ha strappato via o ci fa vedere solo tramite il freddo schermo del computer o dello smartphone.
    Istantanee dal presente con cui in tanti hanno risposto all'appello del museo del Memoriale Veneto di Montebelluna (MeVe) raccontando con una fotografia o con un disegno (tanti i bambini che hanno partecipato) gli oggetti a cui si sono aggrappati durante la pandemia. Nello stesso percorso gli scatti d'autore del fotografo trevigiano Daniele Macca che nel corso dell'ultimo anno ha documentato gli effetti paradossali del Covid tra le persone con foto "potenti" che dicono in un attimo più di mille parole: dalla vecchietta del Centro Anziani Sartor di Castelfranco che abbraccia i parenti "protetta" dalla plastica, al vescovo della cittadina veneta che celebra la messa di Pasqua nel silenzio assordante della sua chiesa vuota.
    Sono questi i due capisaldi di una mostra preziosa e necessaria, unica in Italia, che si apre il 4 marzo alle 11.30 al MeVe di Montebelluna (Treviso) e che può essere seguita in diretta sul canale social del museo (www.facebook.com/MemorialeVenetoGrandeGuerra): "Istantanee dal presente. Testimoni al tempo del Covid19 | Il rumore nel silenzio".
    "Si tratta di un progetto nato dal basso, trasversale, di storia partecipativa che include anche chi non ama scrivere e i più piccoli. Ci sono testimonianze singole e di gruppo per un totale di più di 120 persone coinvolte, oltre 70 fotografie, circa 40 disegni dei bambini, 30 interviste" racconta all'ANSA la storica Irene Bolzon, ideatrice e curatrice assieme alla collega Chiara Scarselletti e all'antropologa Elisa Bellato. Una mostra che ha coinvolto solo il Veneto ma è riuscito a espandersi e a raccogliere testimonianze dal Friuli Venezia Giulia, dalla Lombardia (grazie alla partecipazione dell'Auser Monza Brianza, a un'anziana di Codogno che ha mandato un'istantanea tra le più toccanti e ha fatto partecipare diversi suoi concittadini e alla Compagnia Casale Nostra che a Casalpusterlengo ha realizzato il monumento realizzato con i sassi per le vittime della pandemia).
    "Ma ci sono - continua la Bolzon - anche Roma, Napoli e, sorprendentemente da tanti italiani nel mondo da Washington a Versailles. C'è anche la comunità italo brasiliana anche ha partecipato con una canzone e una classe di bambini che ha partecipato con un flash mob in cui ringraziava i genitori, le maestre e gli infermieri. In mostra ci sono tanti oggetti semplici e preziosi di questi mesi: anche le tazze, la farina, il lievito, gli strumenti per cucire e dipingere riscoperti nei mesi di "prigionia" che ha svuotato le nostre agende. Ci anche sono le piante e i fiori che ricordano che la natura rinasce sempre, nonostante tutto".
    "Mi ha colpito molto - aggiunge la curatrice - l'età dei partecipanti: con picchi di over 90 e di bambini di 8 anni la media era 34 anni, insomma Millennial che hanno riscoperto il cucito, l'orto o la cucina dai ritmi lenti. L'altra cosa che segnalo è che il nucleo "forte", il motore sono state le donne.
    Donne che in questi mesi sono state tra le più colpite dallo tsunami pandemia e hanno ricreato l'equilibrio: in molte hanno perso il lavoro, lo hanno dovuto rivoluzionare per curare i propri bimbi visto che non potevano più contare sui nonni e sulla scuola, si sono reiventate, hanno ripreso a studiare.
    Tutta questa riorganizzazione ha fatto perno sulle donne al 90% da quello che racconta anche la nostra mostra".
    L'altro cuore della mostra è quello delle fotografie di Macca, che ha raccontato la pandemia con i suoi scatti sulla stampa.
    "Nei primi giorni del lockdown - racconta Macca - era choccante girare per le città svuotate, penso a piazza dei Signori a Treviso o a Venezia, ma fino a poche ore prima pullulanti di vita e confusione. Tutto era chiuso nelle case e da fuori lo percepivo. Per questo ho voluto chiamare il mio percorso fotografico "Il rumore nel silenzio". Sono tutte foto che mi sono rimaste dentro e che ho corredato con una frase che mi è stata detta dai protagonisti degli scatti o che è scaturita dalle emozioni che provavo e dalle situazioni che vivevo.
    Ricordo bene l'angoscia delle strade vuote, sembrava un mondo alieno. Uno degli scatti più forti è quello di Armando Cremasco, attore della Compagnia Filodrammatica Guido Negri di Castelfranco, seduto a guardare la platea vuota del teatro che mi dice 'La cultura non contagia più....'". 
   

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