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Un libro sui luoghi di Sciascia, veri e immaginari

RACALMUTO - Cercare Sciascia nei suoi luoghi, reali e immaginari, per provare a delineare, a 100 anni dalla nascita, la sua figura di intellettuale "contro", troppo a lungo fraintesa: è questo l'obiettivo di ANTONIO DI GRADO e BARBARA DISTEFANO, IN SICILIA CON LEONARDO SCIASCIA. NEL CUORE ASSOLATO E DESOLATO DELL'ISOLA (Giulio Perrone Editore, pp.144, 15 euro), in libreria il 14 gennaio.
    Da Racalmuto, dove Sciascia nacque l'8 gennaio del 1921, alla casa di viale Scaduto a Palermo, questa particolarissima guida - dall'approccio intellettuale, non certo turistico - offre un "sentiero per lettori stanchi del turismo di massa": in queste pagine seguendo l'eco delle parole di Sciascia si ha l'opportunità di "assaggiare" la Sicilia più autentica, dolorosa, fragile, ricchissima di culture e bellezza.
    "Nel libro i luoghi sono reali, ma c'è anche una topografia immaginaria. La Sicilia del resto è un'invenzione degli scrittori siciliani, non solo Sciascia, ma Verga, Pirandello, Bufalino, Brancati e gli altri: per loro l'isola era un'utopia, una resistenza all'omologazione", spiega Di Grado, direttore della Fondazione Leonardo Sciascia, intervistato dall'ANSA, "Le ostriche attaccate allo scoglio di Verga non c'erano più, la civiltà contadina era stata travolta: per questi scrittori la diversità culturale siciliana era osservatorio e trincea, per poter guardare anche alla storia del Paese.
    In Sciascia i luoghi sono trasfigurati, come la miniera per esempio, o il centro assolato e desolato della Sicilia dove lui nacque e visse. Ma la Sicilia con lui e con gli altri scrittori si affaccia al mondo e guarda alle grandi letterature straniere". I luoghi siciliani proposti dagli autori, descritti per come erano in realtà e nella mente dello scrittore, infatti permettono di avvicinarsi al pensiero di Sciascia, provando anche a scalfire credenze e pregiudizi spesso riferiti all'isola. Luoghi comuni e "false" evidenze, di cui anche lo scrittore è stato vittima e che sono stati alimentati a partire proprio dalle sue pagine: "Le commemorazioni di questi giorni sono sacrosante e benvenute, ma spesso si appiattisce Sciascia sulla letteratura civile, si guarda a lui come mafiologo.
    La Sicilia è per lui un laboratorio, una chiave di lettura del mondo e della condizione umana e del contesto", continua Di Grado, "dopo i gialli di mafia, l'analisi della realtà fatta da Sciascia si complica di più e arriva a livelli metafisici nell'ultima produzione. Per lo scrittore tutti siamo corresponsabili, colpevoli in un certo senso dell'omologazione e dei misfatti del potere.
    La sua opera demistifica le imposture e le menzogne del potere.
    In questo era come Pasolini: i due erano diversissimi ma profondamente amici, in sintonia, entrambi scrittori 'corsari'.
    Sciascia ha sofferto per le polemiche sul suo presunto professionismo dell'antimafia. E' stato condannato alla solitudine, e il tema dell'uomo solo è presente nei suoi scritti: egli amava dire che è meglio perdere lettori che ingannarli". Un'incomprensione che accomuna il destino di questi ultimi pensatori del '900: "sì, erano intellettuali 'contro': negli anni '70 noi leggevamo gli editoriali di Sciascia o Pasolini ed eravamo costretti a mettere in discussione la nostra visione della realtà, potevamo anche dissentire, non tutto quello che hanno detto si è rivelato giusto, ma quella era una lettura che dilatava la nostra coscienza".
    Oggi il contesto è diverso, e quegli intellettuali sono spariti: "Non so cosa Sciascia direbbe guardando la Sicilia e il mondo di oggi, è un esercizio che ho provato a fare ma non ci sono riuscito. Forse è meglio stare attenti a quello che ha detto in vita e lasciarlo in pace: mi auguro che questo libro riesca a far da tramite per arrivare alla sua riflessione e ai suoi scritti". 

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