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Raffaello, l'Accademia di San Luca e il mito dell'Urbinate

ROMA - Il celebre San Luca che dipinge la Vergine, nella pala tradizionalmente attribuita a Raffaello (che nella composizione ritrae anche se stesso) scelto già dal Cinquecento dall'Accademia Nazionale di San Luca come propria icona, che per la prima volta si specchia nel San Luca realizzato invece un secolo più tardi, nel 1623, da Antiveduto Gramatica solitamente conservato nella chiesa dei Santi Luca e Martina. Quanto Raffaello si può leggere nelle opere dei tanti a lui successivi e, soprattutto, quanto un'istituzione come l'Accademia ha contribuito a costruire, custodire e diffondere il mito del "divin pittore" tra Cinquecento e Novecento? Ruota intorno a queste due domande la mostra "Raffaello. L'Accademia di San Luca e il mito dell'Urbinate", nuovo appuntamento delle attività patrocinate dal Comitato Nazionale del Mibact per le celebrazioni dei 500 anni della morte di Raffaello Sanzio, che fino al 30/1 riunisce nella sale di Palazzo Carpegna 55 opere tra collezione e importanti prestiti. "Una mostra - racconta il presidente dell'Accademia di San Luca, Francesco Cellini - che è un orgoglio, anche se purtroppo non potrà essere vista da quante persone avremmo voluto". "Una mostra necessaria - aggiunge il segretario generale, Francesco Moschini - austera, severa, di studio, senza cadute nella spettacolarizzazione". Tra i capolavori esposti nelle cinque sezioni a cura dello stesso Moschini, Valeria Rotili e Stefania Ventra, anche il Putto reggifestone attribuito a Raffaello, giunto in Accademia attraverso il lascito testamentario del pittore Jean-Baptiste Wicar nel 1834, oggi a tu per tu con la più celebre delle sue copie, eseguita da Gustave Moreau nel 1858. O, per raccontare Raffaello nella didattica accademica, le incisioni dalle Stanze Vaticane di Giovanni Volpato e l'album inciso da Giovanni Folo su disegno di Vincenzo Camuccini, dedicato all'ultima opera del Maestro, la Trasfigurazione. (ANSA).
   

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