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Kakemono, rotoli di pittura e bellezza d'oriente

 La bellezza e il fluire ininterrotto del tempo, draghi e tigri feroci, piante, fiori, figure antropomorfe e paesaggi. La visione estetica e filosofica della civiltà giapponese traspare anche dal segno pittorico su un foglio di carta di gelso e seta srotolato su una parete o all' esterno della casa, libero di oscillare per accompagnare una circostanza specifica, una abitudine rituale come la cerimonia del tè, una stagione dell' anno. Il Kakemono, la ''cosa appesa'', più che una decorazione era una chiave per comunicare sensibilità e armonia, un modo di intendere la vita. Su questa forma espressiva particolare invita a riflettere il Museo delle Culture di Lugano con la mostra nella nuova sede di Villa Malpensata che fino al 21 febbraio 2021 riunisce 90 dipinti per raccontare cinquecento anni di arte nipponica, dal Sedicesimo al Ventesimo secolo. Il curatore Matthi Forrer li ha scelti attingendo dalla raccolta preziosa e unica che il medico torinese Claudio Perino ha messo insieme in venti anni facendone la più grande collezione italiana di pittura giapponese. A legare tra loro le opere è ''il potere del pennello'', il gesto dell' artista che diventa più importante della verosimiglianza del soggetto rappresentato. ''Finche riusciamo a riconoscere ciò che un pittore voleva dipingere o trasmettere - spiega Forrer nel testo in catalogo - possiamo goderci qualsiasi dipinto come se fosse un viaggio nella mente del pittore stesso''.
    Il kakemono era un genere molto diffuso in Asia orientale.
    Il rotolo di tessuto o di carta, dipinto o calligrafato in inchiostro nero o con punte di colore, a differenza delle tele o delle tavole occidentali, ha una struttura morbida ed è pensato per una fruizione cronologicamente limitata, ''partecipa al tempo e al movimento'' esposto nell'alcova della casa giapponese o lasciato per qualche ora all'esterno, in giardino. I soggetti dei kakemono erano carichi di significati simbolici che contribuivano a stabilire e a consolidare lo status sociale dei possessori delle opere, che arrivavano a averne anche centinaia.
    Una volta trascorso il tempo legato all' esposizione, il dipinto veniva arrotolato e riposto in una scatola, e sostituito da un altro kakemono. La pittura giapponese aveva cominciato ad adoperare inchiostro e carta sul modello di quella cinese. Lo stile venne formalizzato dal XIV secolo dalla scuola Kano e si diffuse in tutto il Giappone grazie a una rete di accademie sostenute dalle classi dominanti. I Kakemono erano molto richiesti da clero, Samurai e benestanti. Solo in seguito con l' affermazione sociale degli artigiani e dei mercanti le opere virarono su soggetti naturalistici e su scene di vita reale. «La mostra - spiega Francesco Paolo Campione, direttore del Musec - è un progetto che nasce con un'idea precisa: prendere per mano il pubblico e accompagnarlo n un viaggio emotivo di forme e soggetti, capace di restituire la peculiarità non solo della pittura ma, più ampiamente, della rappresentazione visiva nella civiltà giapponese''. E' un percorso in cui l' elemento fondamentale è la contemplazione, il tentativo di distaccarsi dal mondo esterno per entrare in contatto profondo con il proprio mondo interiore, ponendosi di fronte all' opera d' arte con l' attitudine di divenire parte di un universo intriso di una quiete speciale che apre le porte alla meditazione. ''L' arte orientale guarda alla sensibilità della natura mentre l' arte occidentale è immersa nella storia - dice Campione .
    Compito dell' artista giapponese è trasmettere la stessa sensazione di bellezza e armonia che ha provato durante l' esecuzione, comunicare pace e benessere a chi gli sta intorno.
    L' opera d' arte diventa così un tramite per cogliere il sentimento che anima la natura delle cose'. In questo particolare momento storico di paura e tensione planetaria causata dal Coronavirus, il racconto suggerito dalla mostra assume quindi anche ''un valore civile, una cura dell' anima, un invito a dimenticare l' ansia e a guardarsi dentro''. L'esposizione è un nuovo capitolo nel percorso di studio della creatività e delle tradizioni culturali del Giappone che il Museo di Lugano ha avviato quindici anni fa con la rassegna dedicata alle foto sottomarine delle pescatrici di Hèkura, realizzate nel 1954 da Fosco Maraini, e proseguita con le stampe erotiche (shunga) e i capolavori della fotografia colorata a mano dell'Ottocento. Di quest' ultimo argomento il Musec possiede una collezione di oltre 16.000 foto, la più grande al mondo. La seconda, con 6.500 immagini, è dell' Università di Nagasaki. (ANSA).
   

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