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Il poster come gesto politico, a Genova l'arte di Obey

PALAZZO DUCALE (GENOVA)  Lo sguardo di Barak Obama che punta lontano ispirando ottimismo e fiducia nel cammino che lo avrebbe portato alla Casa Bianca è storia. L' attualità è il volto della newyorchese di genitori del Bangladesh Munira Ahmed, incorniciato dal velo hijab a stelle e strisce sullo slogan ''We the People are greater than fear'' che nel 2017 ha sostenuto a Washington la marcia delle donne contro Donald Trump. La cronaca è l' infermiera con le ali, figura chiave di questi mesi tragici di pandemia, Angelo della Speranza e della Forza con una fiaccola per gli eroi che si sono battuti contro il virus. Il poster come gesto politico è il filo conduttore della mostra che Palazzo Ducale di Genova dedica fino al 1 novembre a Obey, nome in codice di Shepard Fairey, tra i più celebri urban artist della scena mondiale. Il disegnatore cinquantenne della Carolina del Sud ha trasformato i manifesti nell' arma per parlare pubblicamente in modo diretto, con uno stile e un uso dei colori forti che evocano il socialismo rivoluzionario sovietico del primo Novecento, il futurismo, il muralismo di stampo sudamericano, l' iconografia della Cina Popolare.
    Una sessantina di litografie e serigrafie provenienti da collezioni private e due grandi affissioni di sei metri compongono il mosaico di ''Obey fidelity. The art of Shepard Fayrey'', che già nel titolo gioca con il racconto coerente dell' artista e l' avvertimento a obbedire con fedeltà, quasi un controsenso con le sue opere che spingono a rompere le regole, provocare indignazione, inneggiare al cambiamento. I curatori Gianluca Marziani e Stefano Antonelli le hanno selezionate pensando a una ''conversazione urbana tra messaggi militanti, visioni pacifiste, passioni. Obey stimola riflessioni sui temi umanitari, sui passaggi esistenziali, sulle utopie sociali, sui valori di giustizia al di sopra delle leggi''. La sua arte su carta - annotano - attrae i nostri sensi in modo spontaneo, ampliando il linguaggio informativo dei muri metropolitani, Fairey ha capito che ''le pareti stradali rappresentano la prima pagina della comunicazione virale, una nuova home page da cui non puoi sottrarti ''.
    E' indubbio che il disegnatore di Charleston sia diventato una stella della street art proprio grazie al manifesto di Obama. Nel 2008 il volto quadricromatico del candidato che sarebbe diventato il primo presidente nero degli Stati Uniti dominava la scritta Hope dei poster diventati l' immagine simbolo di quella campagna elettorale storica e vincente. Era una iniziativa spontanea, non commissionata dai sostenitori, che ha dato una spinta decisiva alla vittoria di Obama che poi scrisse all' autore ringraziandolo per quella immagine definita dl New Yorker "la più efficace illustrazione politica americana dai tempi dello Zio Sam". Obey, molto tempo dopo, ha tuttavia ammesso di essere rimasto deluso dal Presidente. Tre anni fa, gli occhi della ragazza di origini bengalesi hanno scandito il 'battage' della imponente manifestazione femminile di protesta in occasione dell' insediamento di Trump. '''Sono americana e musulmana e molto fiera di queste due cose'', ha spiegato Munira a un giornale.
    Nelle sue incursioni Obey evoca figure simboliche radicate nella coscienza collettiva come Angela Davis, paladina del movimento afroamericano, invita a praticare l' amore e l' arte contro la guerra, a celebrare la Bellezza al posto della violenza . ''É come se gli anni Settanta delle culture antagoniste tornassero a nuotare nel mare fluido del web, come se lo spirito dei paladini freak rivivesse nella Politica Estetica di un mondo migliore per gente migliore", osserva Marziani. ''Obey incarna l' idea di una persona che da sola si propone di cambiare il mondo affiggendo pezzi di carta - sottolinea Antonelli-. Il suo obiettivo è fare concorrenza alla pubblicità, l' arte entra così a gamba tesa in una forma di comunicazione di un territorio finora egemonizzato dal mercato''. La sua è una ''propaganda'' che non offre prodotti da acquistare ma libertà di pensiero. ''Mettere la propaganda al servizio della verità, mostrando e ripetendo messaggi, è una libertà che solo un artista può concedersi'', dice il curatore.
    La novità della rassegna di Genova è che tra i prestatori delle opere non figurano solo collezionisti facoltosi ma anche gente comune, studenti, operai. Obey parla un linguaggio trasversale senza filtri o mediazioni. Non è un caso se ogni due settimane mette in vendita sul web l' edizione di una sua opera in 750 copie firmate e numerate al prezzo stracciato di 35 dollari l' una. (ANSA).
   

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