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L'antico e la modernità, la visione di de Pisis

ROMA - Il Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps dopo cento giorni di blocco imposti dal coronavirus ha riaperto le porte al pubblico con Filippo de Pisis, tra i grandi protagonisti della pittura italiana tra le due guerre, in una mostra che unisce a ventisei dipinti una selezione suggestiva di disegni di nudi e volti maschili. Fino al 20 settembre la tappa romana completa il percorso realizzato al Museo del Novecento di Milano, dove nei mesi scorsi è stata presentata un'ampia retrospettiva sul maestro ferrarese. L'esposizione, curata da Pier Giovanni Castagnoli con Alessandra Capodiferro, responsabile del museo romano, descrive la vicenda artistica di un grande pittore che fu anche un formidabile disegnatore.

''Il disegno per lui - spiega Castagnoli - era un terreno a sé su cui si esercitò, un codice che in un cammino parallelo si interseca con la pittura, completandola e dandole un valore che da sola non esprimerebbe''.

Di Luigi Filippo Tibertelli de Pisis (Ferrara 1896 - Milano 1956), artista ma anche poeta e scrittore ''notevolissimo e fecondo'', le opere affiancate nelle belle sale di Palazzo Altemps ai marmi e alle sculture meravigliose dell'antichità raccontano la passione per le tracce gloriose del passato. La tela che apre il percorso espositivo è intitolata appunto ''L'archeologo'', del 1928. A Ferrara nel 1916 conobbe i fratelli Giorgio de Chirico e Alberto Savinio e scoprì lo sguardo metafisico sulla realtà. Nella capitale, dove arrivò per la prima volta nel 1919 e si stabilì l'anno seguente, il rapporto con l'archeologia costruito in precedenza con lo studio diventò un rapporto quotidiano che alimentò la sua immaginazione. ''A Roma - spiegò - anche la forma vivente più attuale sembra essere stata dissepolta dai secoli e la faccia del giovane carbonaio di via Monserrato che incontravo ogni mattina, sembra la testa di una statua greca annerita per scherzo''.

Cento anni dopo i suoi lavori - i disegni su carta e gli acquerelli con nudi e volti di giovani realizzati nell'intero arco degli anni Trenta e gli oli in cui i frammenti scultorei si stagliano in un paesaggio reale o metafisico - si confrontano con le statue di dei, eroi, e i ritratti di imperatori della classicità greca e romana. ''Rispetto all'antologica di Milano - osserva il curatore - qui si ha la sorpresa di vedere una mostra totalmente nuova rispetto all'idea della pittura di de Pisis, proprio per il carattere speciale dei disegni. Il tema del nudo che dialoga con la statuaria e le sculture antiche ne è il motivo più appassionante''.

Grande viaggiatore, de Pisis visse a Roma una delle tappe con Milano, Venezia, il Cadore e soprattutto Parigi dal 1925 al 1939 e poi Londra, che ha contribuito a creare il suo stile personale, impermeabile alle mode e alle correnti artistiche. Nella capitale francese - vivace e al centro dei fermenti culturali e sociali - frequentò i grandi nomi dell'arte e la cerchia degli 'italiens' e manifestò la propria omosessualità, con un seguito di problemi e ostracismi, dal rischio di confino corso nel 1943 perché il prefetto di Milano lo aveva accusato di essere ''un perturbatore della morale'' al Gran Premio della Biennale di Venezia che gli fu negato. Sul finire degli anni Quaranta emersero i sintomi della malattia mentale che presto lo avrebbe portato al lungo ricovero nella casa di cura Villa Fiorita a Brugherio (Milano). Quanto scrisse negli anni 'metafisici' degli esordi spiega la sua visione di una pittura che andasse oltre le cose. ''Un mare sereno o tempestoso, lontano, sotto un bel cielo palpitante a sfondo di una natura morta, non sarà solo elemento ambientale o decorativo ma nostalgia sottile e tortura di senso. Il cielo sarà 'il tremendo soffitto' del Baudelaire. E una figura in un paese non sarà la solita macchietta pittorica, ma un segno, sia pure distratto, di un fantasma interiore". 

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