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Dagli studi al giardinaggio, la quarantena nei musei

Negli splendidi giardini di Villa Adriana e Villa d'Este, a Tivoli, la natura è tornata prepotentemente protagonista. Liberi dalla calca dei turisti, piante e sentieri patrimonio dell'umanità hanno ripreso a respirare, amorevolmente accuditi dai giardinieri del parco.
    "Non potrebbe essere altrimenti - spiega Andrea Bruciati, da tre anni alla guida del complesso che raccoglie la rinascimentale Villa d'Este insieme con i resti della villa di delizie dell'imperatore Adriano e il santuario di Ercole - la manutenzione del verde qui è fondamentale, così come quella ingegneristica per il funzionamento complesso di fontane e corsi d'acqua". Lo stop obbligato dall'emergenza coronavirus è diventato quindi per questa fetta specialissima del patrimonio italiano, "un tempo di rigenerazione", e anche l'occasione per una rimodulazione, sottolinea Bruciati, "che sarebbe stato impossibile fare in presenza del pubblico". Non è così al museo Egizio, nel Piemonte bersagliato dall'epidemia. "Qui siamo tutti in smart working", racconta Christian Greco, direttore della fondazione torinese. Faraoni e scarabei, così come i preziosi papiri, sono da settimane a riposo, come fosse sempre notte, protetti dal sistema di climatizzazione e da una vigilanza armata ampiamente rafforzata. Muniti di lap top e vpn per l'accesso agli archivi, i 59 addetti dello staff si danno un da fare matto tra studio, ricerca, catalogazione, ma anche per portare avanti l'amministrazione, risolvere da remoto i problemi causati dallo stop, come l'allagamento dello scavo archeologico che era appena stato avviato in Egitto, a Saqarah . C'è però da fare i conti con il disastro economico: "Abbiamo chiesto il ricorso alla Cig prevista dal Cura Italia - si rammarica Greco- Noi viviamo del nostro bilancio, che è fatto per il 68% dai biglietti e per il resto da iniziative e mostre itineranti, con questo stop perdiamo 34 mila euro al giorno." Senza contare le mostre rimaste bloccate all'estero. Una a San Paolo in Brasile, un'altra a Kansas City negli Usa, una terza ad Ottawa in Canada.
    Anche queste sono colpi al bilancio. Tant'è, le assicurazioni, almeno, sono state tutte estese. Dal Piemonte alla Puglia, c'è il caso del museo archeologico di Taranto, l'imponente Marta, molto più povero in termini di visitatori, ma in questi anni sempre più sentito come presidio di cultura in un territorio particolarmente disagiato: "Per la città un gravissimo danno" , lamenta la direttrice Eva Degli Innocenti, che organizza una squadra di lavoratori in smart working. Anche qui si è dato spazio alle pratiche che si possono seguire da remoto, dalla catalogazione dei reperti alle pubblicazioni. Per chi non poteva essere riconvertito al lavoro da casa ci si è inventati corsi di lingue e di formazione. Ma tante energie sono impegnate sull'online che garantisce il contatto con la popolazione. "E la risposta c'è, in queste settimane abbiamo avuto mezzo milione di utenti unici". Il rapporto con il territorio è un punto di forza anche per il Parco archeologico di Paestum, in Campania: qui Gabriel Zuchtriegel guida una squadra di 80 persone. Tutte in smart working, fatta eccezione per gli addetti alla sorveglianza e alla manutenzione. Spazio allo studio, alla ricerca, alla messa a punto dei dati arrivati dagli ultimi scavi, alle pubblicazioni, alla comunicazione di contenuti online. Ma non solo: "abbiamo pensato che fosse giusto usare questo tempo per la condivisione tra noi delle competenze e delle conoscenze", spiega il quarantenne archeologo tedesco. E così ognuno si è messo ad insegnare agli altri le cose in cui si è perfezionato o ha scoperto in questi anni, dalla accessibilità per il pubblico con disabilità, alle tecniche di comunicazione, dai fondamenti dell'archeologia alle ultime teorie sui ritrovamenti. "Così, quando finalmente si riaprirà saremo tutti più preparati".
    Diverso l'esempio di Pompei, bellissima e struggente nelle cartoline postate in questi giorni dal direttore Massimo Osanna: qui, dove si era appena festeggiata la conclusione del Grande progetto di restauro, sono rimasti solo gli addetti alla guardiania e una squadra per la manutenzione. Tutti gli altri lavorano da casa: "Stiamo mandando avanti le procedure burocratiche in modo da essere pronti per quando usciremo dall'emergenza", spiega Osanna. Di fatto un gran da fare per tutti, dalle gare alle pubblicazioni, dalla sistematizzazione dei dati raccolti nelle campagne di scavo ai progetti esecutivi per la protezione delle domus riportate alla luce nei mesi scorsi. Anche qui il peso economico dello stop sarà violento ("l'incasso medio annuo era di 40 milioni di euro, quest'anno potremo non superare i 10 milioni") e non manca la preoccupazione per i reperti rimasti bloccati all'estero. Uno per tutti, lo straordinario "tesoro della fattucchiera", tra le sorprese più belle dell'ultima campagna di scavi: i parigini si erano prenotati a frotte per ammirarlo in una mostra che avrebbe dovuto aprire il 23 marzo. Spediti in Francia per tempo, pietre e amuleti giacciono ora nel caveau del Gran Palais. Di nuovo al buio, com'è stato per tanti secoli. (ANSA).
   

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