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La videoarte di Ali Kazma al MaXXi

 Il bianco del ghiaccio e della neve, il suono del vento, il grigio del cemento armato in un deposito nelle isole Svalbard che custodisce i semi congelati di piante da preservare in caso di catastrofe; l'attenzione maniacale al dettaglio e agli oggetti di uno studio d'artista, o ancora il movimento "animale" dei nastri che trasportano senza sosta le copie di un giornale in un centro stampa tra il ronzio dei macchinari. Immagini, suoni e rumori di ambiente si fondono in una miscela intrigante nella videoarte di Ali Kazma, artista turco che vive e lavora tra Istanbul e Parigi, al quale il Maxxi di Roma dedica la rassegna "Film essays" dal 5 al 17 novembre con due settimane di proiezioni nella Videogallery. "Ogni mia opera va a sommarsi alle creazioni precedenti aprendo un dialogo nuovo - spiega Kazma -. Ogni singolo lavoro è il pezzo di un mosaico. Un mio amico lo ha definito 'archivio poetico'. Il mio obiettivo è stimolare la partecipazione fisica del pubblico che è libero di creare una propria storia".
    Maurizio Bortolotti, il curatore della rassegna, ha ricordato che Kazma si inserisce tra i protagonisti della videoart che dal 1990 hanno sviluppato un nuovo modo di presentarsi in un continuo raffronto con il cinema. "Il suo è un lavoro molto accurato, uno sguardo senza artifici, diretto e concentrato sulla situazione che descrive, da attento analista e narratore della realtà contemporanea". L'ossessione-confronto con il cinema, osserva Bartolotti, ha spinto questa generazione di artisti a creare un campo di azione e un linguaggio diversi.
    "L'arte contemporanea punta al 'qui e ora', all'esperienza immediata, descrivendo la realtà per come è. Il cinema la racconta come narrazione, con un tempo più dilatato. Il lavoro dei videoartisti tenta di combinare questi due estremi".
    Kazma, classe 1971, ha studiato negli Stati Uniti dove ha vissuto dieci anni. Come molti altri colleghi, ha cominciato con la fotografia, poi cimentandosi con il cinema. Il suo primo film nel 1995, a 16 anni, con una passione particolare per le luci, le riprese e il montaggio. "Mi piaceva meno spiegare le mie idee e motivare gli altri in ciò che volevo fare", ha spiegato presentando al Maxxi i suoi lavori. Dal 1997 si è dedicato totalmente ai video. Cortometraggi brevi, molti dei quali al di sotto dei dieci minuti, frutto di un lavoro lungo, di una cura certosina delle immagini e di un montaggio selettivo: per un corto di 3 minuti fino a otto ore di riprese. La trasformazione dei luoghi e i processi di creazione e produzione degli oggetti sono i temi che predilige, esplorando contesti in diverse aree del mondo. Nel 2013, ha rappresentato la Turchia per la 55.
    Biennale Arte di Venezia.
    Nelle due serie di video selezionate per questa rassegna, emergono con luoghi, processi, ripetizione meccanica di gesti, presenza silenziosa di persone. Sguardi su realtà separate che assumono un significato più ampio e completo solo collegandoli tra loro. Le persone riprese non parlano e se lo fanno il sonoro è azzerato. "Il linguaggio non sempre serve - spiega Kazman -. A volte complica e va contro il racconto. Se la voce non dà elementi nuovi, è superflua e preferisco non inserirla". Suoni e rumori ambientali però danno una forza particolare al racconto per immagini, come nel caso dei tre minuti e mezzo di "Clerk", del 2011, dove di un impiegato in uno studio notarile la camera punta il vertiginoso sfogliare e timbrare una risma di atti, con un ritmo pulsante da loop musicale. "Vedere un video da solo non spiega - nota Bortolotti -. La sua opera è un grande mosaico, ogni video appartiene a una serie più ampia". Kazma conferma che l'approccio meditativo nell'osservare la realtà è un elemento centrale del suo lavoro, seguendo la necessità di creare "opere d'arte per imparare a vivere". (ANSA).
   

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