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Berenice Abbott e la New York che cambia

(di Luciano Fioramonti) (ANSA) - LECCO, 18 AGO - "Il fotografo è l'essere contemporaneo per eccellenza: attraverso i suoi occhi il presente diventa passato". Così Berenice Abbott riassumeva il suo modo di leggere il mondo, la sfida a fissare l'attimo per raccontare una realtà in movimento. La frase campeggia su una delle pareti di Palazzo delle Paure, a Lecco, tra le ottanta immagini della mostra "Topographies", a cura di Anne Morin e Piero Pozzi, dedicata fino all'8 settembre alla grande artista americana, conosciuta come la fotografa della New York negli Anni Trenta ma alla quale si riconosce il merito di aver contribuito alla creazione del mito di quell' America "on the road" poi celebrato in letteratura da Jack Kerouac. Gli scatti in bianco e nero descrivono l' intero percorso di questa maestra dell' immagine attraverso tre grandi sezioni dedicate ai ritratti, alla Grande Mela, alla Scienza. Per Anne Morin l'importanza dell' artista va ricercata nel fatto che anche grazie alla sua opera "la fotografia si è affrancata da ogni confronto con la pittura e ha cominciato a esistere in maniera indipendente, seguendo la specificità del mezzo".
    Berenice Abbott (1898-1991) era nata a Springfield, nell'Ohio, e dopo una breve esperienza in patria come scultrice, negli anni Venti si trasferì a Parigi, all'epoca culla dei fermenti artistici della cultura occidentale. Qui conobbe il grande fotografo Man Ray, che nel 1925 la volle come assistente.
    Nello studio del suo mentore cominciò ad eseguire i primi ritratti che ebbero subito un grande successo. Di fonte al suo obiettivo si misero, tra gli altri, la scrittrice Solita Solano; l' attrice Dorothy Whitney; Sylvia Beach, proprietaria della celebre libreria parigina Shakespeare and Company; Jean Cocteau; André Gide; James Joyce. Un anno dopo Abbott aprì un proprio atelier e prese ad esporre i suoi lavori. Figura chiave per lei fu il fotografo francese Eugène Atget, poco conosciuto all'epoca. "La sensibilità e l'intelligenza di Berenice Abbott - osserva Pozzi- consisteranno nel saper riconoscere tutta la genialità di questo grande autore della storia della fotografia, capace di ritrarre Parigi descrivendo il volto di una città che si svela dietro l'apparente, rapida, trasformazione... una fotografia, la sua, che va oltre l'istante e che sa leggere e descrivere il continuum della storia, lo stratificarsi del tempo in un intreccio tra passato e presente". Abbott fece uscire dall' ombra Atget, che morì nel 1927, acquistando gran parte del suo archivio e pubblicizzando la sua opera perché fosse rivalutato e apprezzato. Tornata negli Stati Uniti nel 1929, lasciò da parte i ritratti e si dedicò a fotografare New York dopo la grande depressione, i cambiamenti della città che si avviava a diventare metropoli. E' il capitolo di maggior fascino della mostra, con la grande immagine del Flatiron Building, il mitico edificio all' angolo di Madison Square; la visione notturna dall' alto del dedalo di strade tra i grattacieli illuminati; il Ponte di Brooklyn; edifici e quartieri che oggi non esistono più. Questa sua ricerca fu raccolta nel libro "Changing New York", pubblicato nel 1939. Abbot segue con "oggettività documentaria" l'evoluzione della città, la trasformazione degli edifici che si slanciano verso l'alto. Lo sguardo passa dall' insieme al dettaglio, dalle grandi costruzioni all' insegna di un piccolo negozio. Dal 1939 al 1961 concentrò l'attenzione sulla scienza ritenendo che la fotografia "fosse il mezzo più adatto per spiegare i principali fenomeni che governano il mondo, dalla meccanica quantistica ai campi magnetici". Nel 1944 fu photo editor di Science Illustrated, collaborò alla creazione di manuali didattici e insegnò al Massachusset Institute of Technology. Le foto di questo ciclo uniscono rigore, ricerca e qualità artistica, dalle linee di luce scomposte da un prisma alle modulazioni generate dell' elettricità e dal magnetismo, alla perfezione di "Bolle di sapone", del 1949. Dal giugno al settembre del 1954 fu impegnata a fotografare città e piccoli centri lungo la Route 1, la strada che da nord a sud corre parallela alla costa orientale per 3800 chilometri. Contadini, case di legno, mercati ambulanti e fiere, strade deserte e pompe di benzina formano il puzzle della sua America rurale. "La sfida per me - spiegò - è stata soprattutto quella di riuscire a vedere le cose come sono, che si tratti di un ritratto , di una strada di una città o di una pallina che rimbalza. In breve, ho cercato di essere obiettiva". (ANSA)

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