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Export, record storico per la frutta a 10 mld

Le esportazioni di frutta e verdura fresche e trasformate superano per la prima volta il muro dei 10 miliardi di euro grazie a un aumento dell'8%, nonostante le difficoltà legate all'aumento dei costi per la guerra in Ucraina, ma anche agli effetti dei cambiamenti climatici che hanno penalizzato soprattutto il settore del fresco. E' quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base delle proiezioni su dati Istat relativi ai primi dieci mesi dell'anno divulgata in occasione dell'inaugurazione di Fruit Logistica di Berlino, la principale fiera internazionale di settore.

"Proprio la Germania rappresenta il primo mercato di sbocco per l'ortofrutta Made in Italy - sottolinea Coldiretti - con circa un quarto del totale esportato, grazie anche a un aumento del 7% degli acquisti. Il secondo mercato di riferimento è la Francia, dove si registra però un arretramento del 2%, mentre al terzo posto c'è la Gran Bretagna che al contrario vede un incremento dell'export del 15%, nonostante le difficoltà commerciali legate alla Brexit. Al quarto posto si piazza la vicina Austria, dove le vendite crescono dell'8%, subito davanti agli Stati Uniti che sono il primo mercato extra Ue grazie a un incremento record del 20%".

Sul totale delle esportazioni gli ortaggi freschi valgono oltre 1,8 miliardi che salgono a 5,3 miliardi di euro se si considera anche il trasformato che con salse e concentrati di pomodoro pesa per quasi la metà del totale. La pummarola Made in Italy, sottolinea la confederazione, ha messo a segno nel 2022 un incremento record del 27% a riprova del successo dei prodotti della Dieta Mediterranea all'estero.

Tuttavia, secondo l'analisi Coldiretti su dati Crea, la guerra in Ucraina e i rincari energetici spingono i costi correnti per la produzione di frutta e verdura italiane, che arrivano a raddoppiare (fino a +119%) con un impatto traumatico sulle aziende agricole. "L'impennata dei costi di produzione ha colpito tutte le fasi dell'attività aziendale", rileva Coldiretti, concludendo che a pesare è anche la concorrenza sleale delle produzioni straniere, le barriere e le tensioni internazionali sul commercio. 

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