Torna "Seminare il futuro", alla sua decima edizione e in forma ridotta, con solo una decina di aziende agricole biologiche e biodinamiche dellecosistema di NaturaSì ad aprire simbolicamente i loro campi ai cittadini per celebrare la semina, "un appuntamento che ha un forte valore di sensibilizzazione ambientale". La semina collettiva del grano che maturerà lestate prossima vuole "sensibilizzare le persone sul tema della provenienza del cibo e del futuro dellagricoltura, vuole far parlare dei semi liberi e soprattutto adatti allagricoltura biologica, che ha bisogno di varietà diverse rispetto a quelle selezionate per lagricoltura convenzionale" anche perchè la Strategia europea "Farm to Fork" prevede entro il 2030 che i campi biologici arrivino al 25% della superficie agricola del continente. Lo spiega EcorNaturaSì ricordando che oggi il bio "copre solo un terzo di questo target, l8% delle terre agricole europee (in Italia questo dato quasi raddoppia, salendo al 15,8%) e questo numero faticherà a crescere se non si sviluppano semi adatti allagricoltura che rispetta il suolo e lambiente".
"Il bio ha bisogno di più ricerca, a cominciare da quella sulla selezione di semi adatti - afferma Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì - È per questo che la Fondazione Seminare il futuro ha cominciato assieme allUniversità di Pisa ed alla fondazione svizzera Peter Kunz una sperimentazione su 250 varietà tradizionali di grano duro provenienti dallItalia e dal Mediterraneo. Ma non basta, ci aspettiamo che il mondo della ricerca nel suo complesso faccia la sua parte per selezionare varietà che rispondano alle diverse esigenze agricole e nutrizionali delle nostre società, rispettando la pianta, il suolo e la biodiversità naturale. "Oggi nei campi si utilizzano prevalentemente sementi selezionate per l'agricoltura convenzionale - spiega la nota - Una buona parte degli agricoltori biologici utilizza gli stessi semi, che non si adattano al sistema bio perché selezionati per produrre piante adatte alluso di concimi chimici: grano più basso, con radici superficiali che non sono in grado di andarsi a trovare il nutrimento naturale fornito da un suolo fertile".
Nella storia dellumanità, spiega l'epidemiologo Franco Berrino che ha partecipato allincontro Storie di semi. Dal campo alla tavola a Cascine Orsine, a Bereguardo (Pavia), "abbiamo quasi sempre potuto accedere ad unamplissima varietà di cibi, che si è poi impoverita con lo sviluppo dellagricoltura e drammaticamente ridotta con lagricoltura industriale, che ha privilegiato solo poche varietà molto produttive. Gli studi epidemiologici stanno dimostrando che la biodiversità del cibo è importante per la salute - rileva Berrino - Il consumo di frutta e verdura, ad esempio, riduce il rischio di diabete e di cancro, ma la varietà della verdura consumata conferisce unulteriore protezione. La varietà di frutta e verdura nei primi anni di vita, inoltre, protegge dallo sviluppo di allergie alimentari. Le fibre vegetali sono il principale nutrimento dei batteri intestinali benefici, e la biodiversità del cibo vegetale garantisce un buon funzionamento del microbiota, la nostra difesa contro le malattie infettive e le malattie autoimmuni. Mangiamo dunque tutto quello che il Padre eterno ha messo a disposizione nelle varie stagioni conclude loncologo - e diffidiamo della finta diversità degli innumerevoli prodotti industriali.
Per aumentare la biodiversità agricola e alimentare necessaria alla salute, oltre che allo sviluppo dellagricoltura biologica, NaturaSì insieme con altre realtà del bio italiane ed europee sostiene la Fondazione Seminare il Futuro che promuove la ricerca e la produzione di sementi 100% biologiche, il così detto Organic Breeding, anche attraverso la creazione di comunità agricole che fanno dello scambio, della coltura e della selezione della varietà di sementi non ibride il fulcro della loro attività. Antico non basta: il biologico si deve attrezzare non solo per creare piante adatte a fertilizzanti naturali, ma anche contro il cambiamento climatico e linsorgere delle nuove patologie vegetali collegate. E per farlo serve ricerca e sperimentazione e il nostro Paese, pur essendo il secondo in Europa per estensione del bio, su questo non è allavanguardia, spiega Federica Bigongiali, direttrice della Fondazone Seminare il Futuro.
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