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I tumori usano un mantello dell'invisibilità fatto di zuccheri

Le cellule tumorali indossano un 'mantello dell'invisibilità' fatto di zuccheri per sfuggire al sistema immunitario: spogliarle di questa protezione è possibile e permette di potenziare l'efficacia delle terapie Cart-T, basate su linfociti T 'armati' in laboratorio. Lo dimostra uno studio del San Raffaele di Milano pubblicato su Science Translational Medicine.

Il lavoro è stato condotto da Beatrice Greco dell’Università Vita-Salute San Raffaele e coordinato da Monica Casucci, responsabile dell’Unità Immunoterapie Innovative dell’Irccs Ospedale San Raffaele, grazie a fondi ottenuti dal Ministero della Salute e coordinati da Alleanza Contro il Cancro, da Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro e dal progetto europeo Horizon2020 EURE-CART.

Il mantello dell'invisibilità del tumore viene prodotto dalle stesse cellule cancerose attraverso il processo di glicosilazione, che consiste nell’aggiunta di catene di zuccheri alla struttura delle proteine. La maggior parte dei tumori altera la glicosilazione a proprio vantaggio, modificando la composizione dello strato zuccherino che ricopre le cellule tumorali. “L’aspetto più rilevante della scoperta è che la glicosilazione delle cellule tumorali ostacola l’azione dei linfociti Car-T attraverso diversi meccanismi attivi contemporaneamente”, spiega Beatrice Greco. “Questa è anche un’ottima notizia: significa che ridurre la formazione di questa barriera, bloccando il processo di glicosilazione, può indebolire il tumore su più livelli".

Per impedire al tumore di formare lo scudo protettivo, i ricercatori hanno pensato di ingannarlo nutrendolo con un derivato sintetico del glucosio, chiamato 2DG: usato nella glicosilazione, permette di ottenere catene di zuccheri molto più corte che indeboliscono lo scudo zuccherino. Somministrandolo insieme alla terapia Car-T in animali di laboratorio con tumori solidi (tra cui carcinomi di pancreas, vescica e ovaio), si è ottenuto un netto potenziamento dell'attività antitumorale delle Car-T e un miglior controllo della malattia nel breve e lungo termine.

"Il fatto che 2DG sia già stato testato negli esseri umani mostrando un buon profilo di sicurezza promette di accelerare l'avvio delle prime sperimentazioni cliniche in abbinamento alle terapie Car-T”, sottolinea Monica Casucci. “Questo approccio potrebbe fare la differenza soprattutto nei tumori solidi, in cui i risultati di efficacia delle Car-T sono stati finora insoddisfacenti".

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