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Nuova tecnica per catturare 'impronta digitale' del cervello

Anche il cervello ha la sua inequivocabile ‘impronta digitale’, distinta per ogni persona, e bastano pochi secondi per riconoscerla: è il traguardo raggiunto dai ricercatori guidati da Enrico Amico del Politecnico di Losanna (Epfl) e descritto su Science Advances. Grazie a nuove tecniche di anali delle immagini di risonanze magnetiche è ora possibile identificare in meno di 2 minuti la ‘firma’ dell’attività cerebrale, una identità che tende però a sbiadire in soggetti colpiti da malattie neurodegenerative.

“In questi ultimi anni – ha detto Amico all’ANSA – abbiamo imparato, usando delle semplici immagini con risonanza magnetica, a esaminare le attività e le connessioni tra le diverse aree del cervello scoprendo che esistono schemi tipici di ogni singolo cervello. In sostanza, ed è per me clamoroso e ricco di potenziali avanzamenti, è possibile identificare un individuo dalla sua ‘impronta’ cerebrale”.

Queste informazioni sono raccolte in quelli che vengono detti connettomi cerebrali funzionali, una sorta di timelapse che registra tutte le attività rilevate dalla macchina e le visualizza in un singolo fotogramma. I nostri connettomi cambiano in base all'attività svolta e alle parti del cervello utilizzate ma al loro interno emergono degli schemi che si conservano in ogni persona, anche a distanza di 2 anni. Ora, grazie al lavoro di Amico, per riconoscerli bastano appena 1 minuto e 40 di presa dati.

Il prossimo passo sarà confrontare le impronte digitali cerebrali di pazienti sani con quelli affetti da malattie degenerative, come il morbo di Alzheimer: “dalle prime analisi – ha precisato il ricercatore italiano – sembra che le caratteristiche che rendono unica un'impronta digitale cerebrale scompaiano costantemente con il progredire della malattia. Diventa più difficile identificare le persone in base ai loro connettimi. È come se una persona con l'Alzheimer perdesse la sua identità cerebrale”.

Una scoperta che potrebbe portare a tecniche per rilevare precocemente la comparsa della malattia. Ma in generale queste nuove tecniche potrebbero portare importanti progressi nei meccanismi di funzionamento del cervello o essere usate per aiutare pazienti affetti da autismo, o ictus, o anche in soggetti con tossicodipendenze. "E’ un altro piccolo passo verso la comprensione di ciò che rende unico il nostro cervello: le opportunità che potrebbero aprirsi sono illimitate", ha concluso Amico.

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