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Pronto il primo catalogo dei geni del microbioma umano

Completato il primo catalogo genetico del microbioma umano, ovvero il censimento dei geni presenti nei microrganismi che vivono nel nostro corpo condizionando la salute. Il risultato, ottenuto mappando il Dna dei batteri di bocca e intestino (senza dunque considerare i microrganismi che vivono in altre parti del corpo) suggerisce che i geni dell'intero microbioma potrebbero essere piu' numerosi delle stelle osservabili nell'universo, e che oltre la meta' di essi sarebbe specifica per ciascun individuo, prefigurando cosi' un'inaspettata diversita' genetica. Lo studio, che potra' aiutare lo sviluppo di nuove terapie personalizzate, e' pubblicato dalla Harvard Medical School sulla rivista Cell Host & Microbe.

Se finora le ricerche sul microbioma si erano limitate a censire le specie dei microorganismi che vivono in simbiosi con il corpo umano, questo nuovo lavoro scava ancora piu' in profondita', andando a vedere quali geni sono presenti: come spiega l'esperto di bioinformatica Chirag Patel, infatti, "due batteri dello stesso tipo possono avere un genoma anche molto diverso" e di conseguenza avere effetti differenti sulla salute.

Lo studio, in particolare, ha preso in esame i dati relativi al sequenziamento del Dna del microbioma umano per un totale di 3.500 campioni (1.400 prelevati dal cavo orale e 2.100 dall'intestino) in cui sono stati identificati 46 milioni di geni. Circa 23 milioni sono risultati essere condivisi da piu' persone, forse perche' legati a funzioni cruciali per la sopravvivenza dei batteri, mentre i restanti 23 milioni si sono rivelati unici per ciascun individuo, probabilmente perche' legati a funzioni molto specializzate come la resistenza agli antibiotici.

Questa enorme diversita' genetica fa ipotizzare che l'intero microbioma umano conti almeno 232 milioni di geni. Resta da capire cosa alimenti tutta questa varieta': secondo i ricercatori potrebbe essere dovuta allo scambio di geni che avviene in maniera orizzontale tra microrganismi, ma sembra piu' plausibile l'ipotesi che a determinarla siano fattori ambientali come il cibo che mangiamo e i farmaci che assumiamo.

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