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L'evoluzione è più complessa del previsto

L'evoluzione è più complessa del previsto e il suo dialogo con l'ambiente non è mai stato così serrato: è questa, per il genetista Giuseppe Novelli, rettore dell'università di Roma Tor Vergata, la grande novità che emerge dalla ricerca pubblicata sulla rivista Plos Biology. Analizzando le varianti comparse nel Dna umano in un periodo brevissimo, di una o due generazioni, lo studio coordinato dalla Columbia University di New York ha fotografato l'evoluzione in atto, come in un'istantanea quasi impossibile da catturare.

"Da questa ricerca emerge chiaramente quanto la genetica sia complessa e come possa dare risultati diversi a seconda dell'ambiente e in situazioni particolari", ha rilevato Novelli. "Lo studio dell'evoluzione - ha aggiunto - va visto nella sua complessità, considerando il ruolo importante dell'ambiente". Finora era noto che le mutazioni genetiche positive venivano 'promosse' dalla selezione naturale, soprattutto quelle che hanno un riflesso sulla fertilità, ma la novità dello studio coordinato dalla Columbia University è nell'aver dimostrato questo aspetto nuovo della genetica "considerando caratteri complessi, dovuti a molti geni".

L'altro elemento importante, ha proseguito il genetista, è l'aver dimostrato che "negli ultimi 100-200 anni alcuni geni si sono evoluti più rapidamente a causa di una pressione molto forte, positiva o negativa, esercitata dall'ambiente".

Se da un lato l'istantanea dell'evoluzione umana conferma in pieno il vecchio detto dei genetisti "vuoi vivere più a lungo? scegliti i genitori giusti", dall'altro indica che per capire a fondo l'evoluzione non bastano i geni e non basta l'ambiente: "c'è un'eredità nuova, di tipo epigenetico", ha detto riferendosi alle caratteristiche che si manifestano in un organismo, diverse dalla costituzione genetica.

E' questa eredità epigenetica, ha proseguito Novelli, "che influenza maggiormente la selezione dei caratteri: è sull'epigenetica che l'ambiente esercita la sua fa pressione". Un esempio è la ricerca pubblicata nel 2014 sulla rivista Nature Neuroscience, che per la prima volta dimostrava che i traumi possono essere ereditati da una generazione all'altra.

"Il modello dell'eredità di Darwin funziona benissimo, ma dobbiamo tenere conto che le caratteristiche di un organismo, ossia il fenotipo, sono il risultato di una grande complessità, nella quale l'ambiente e il caso giocano un ruolo molto più importante di quanto si pensasse". Ad esempio, i cosiddetti individui portatori di mutazioni pericolose che stanno benissimo, i cosiddetti resilienti, sono la prova che "la genetica non è tutta positiva o negativa e che i geni non sono buoni né cattivi, ma che molto dipende dall'ambiente in cui lavorano".

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