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Biomateriali per tornare a masticare se l'osso non basta

Quando la parodontite porta alla perdita di uno o più denti, masticare o sorridere può diventare difficile e una chirurgia semplice può non bastare, perché il tessuto parodontale è spesso molto compromesso e riassorbito. In questi casi, possono venire in soccorso nuove tecniche rigenerative che utilizzano biomateriali come il collagene, estratti plasmatici e derivati ossei. A fare il punto sull'utilizzo di questi materiali d'avanguardia, altamente biocompatibili e adatti a interventi mininvasivi, sono stati gli esperti della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP), al 20/mo congresso, ospitato dal 23 al 25 settembre al Palacongressi di Rimini.
    "Il paziente con parodontite di stadio III o IV ha già sofferto molto e spesso ha bisogno di terapie chirurgiche e implantoprotesiche", ricorda Luca Landi presidente di Sidp. "In questi casi, oltre alla terapia parodontale di supporto, l'obiettivo primario è ripristinare la funzione masticatoria attraverso la ricostruzione dei tessuti duri e molli andati perduti. Oggi è possibile farlo anche nei casi più complessi, grazie all'ingegneria tissutale, che riduce l'impiego di osso del paziente a favore di strutture di sostegno (scaffold), che sono personalizzati a seconda del grado di atrofia del tessuto osseo". Questo può essere incrementato anche grazie a nuove tecniche di aumento di volume osseo e gengivale, utilizzando membrane di collagene e L-PRF, fibrina autogena polimerizzata fisiologicamente, ricca di piastrine, leucociti, fattori di crescita e proteine plasmatiche e ottenuta da un prelievo di sangue del paziente opportunamente centrifugato.
    Accanto ai biomateriali, è altrettanto importante il ruolo delle tecnologie innovative che consentono di pianificare meglio il volume dell'aumento osseo, di usare placche di osteosintesi, griglie e biomateriali personalizzati in base a esami digitali dei tessuti duri e molli del paziente. Con vantaggi funzionali ed estetici. "La fase di progettazione nelle riabilitazioni implantoprotesiche complesse - spiega Landi - oggi richiede più tempo ed energie della fase di realizzazione chirurgica e protesica, perché c'è una personalizzazione estrema". Ma "quando si riescono a raggiungere le corrette caratteristiche volumetriche attorno agli impianti, si riduce la probabilità che le nuove radici si ammalino nel tempo sviluppando un'infiammazione attorno all'impianto". (ANSA).
   

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