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Nuova strategia migliora l'editing genetico delle staminali

Un nuovo meccanismo con cui è possibile migliorare la capacità di correggere gli errori nel Dna delle cellule staminali del sangue è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori dell'Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget). Nel loro studio, pubblicato Nature Biotechnology, il team guidato da Luigi Naldini, ha mostrato come superare una delle più importanti barriere all'applicazione dell'editing genetico alle cellule staminali ematopoietiche, che rappresentano un bersaglio fondamentale per la cura di gravi malattie genetiche, come le immunodeficienze primitive. L'editing genetico permette di correggere in modo puntuale errori nelle informazioni genetiche nel Dna responsabili di gravi malattie ancora incurabili.

"Tuttavia, questo sistema non lavora al meglio all'interno delle cellule staminali ematopoietiche, che una volta avvertito un danno al Dna tendono a non proliferare più. Siamo quindi andati a studiare come evitare gli effetti collaterali del nostro intervento sul materiale genetico", spiegano Samuele Ferrari e Aurelien Jacob, primi autori del lavoro. I ricercatori hanno trovato quindi una delle chiavi per superare l'impatto negativo del taglio del Dna sulle staminali ematopoietiche, agendo su una delle proteine più importanti per la regolazione della proliferazione cellulare (p53), soprannominata "guardiana del genoma".

Somministrando alle staminali del sangue un inedito cocktail proteico durante l'editing genetico, infatti, sono riusciti a bloccarne temporaneamente l'azione e a migliorare l'efficienza del processo correttivo. "Il nostro - commenta Luigi Naldini, direttore dell'SR-Tiget - è un risultato importante nel percorso verso l'applicazione clinica in malattie in cui la terapia genica "tradizionale" non è indicata, perché quello da correggere è un gene "delicato", coinvolto per esempio nella regolazione della crescita cellulare". Lo studio è stato finanziato dalla Fondazione Telethon, dal programma Horizon 2020 dell'Unione Europea, dal Ministero della Salute e dal Ministero della Ricerca, oltre che dalla Fondazione Louis-Jeantet di Ginevra.

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