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Alexandra contro il sarcoma, 'dopo un ostacolo così grande impari ad amare tutto della vita'

"Per curare un osteosarcoma, a soli 13 anni, mi trasferii dalla Romania in Italia. E per circa un anno sono stata ospite nella Casa di Peter Pan, messa a disposizione per le famiglie costrette a spostarsi per le cure oncologiche. Per me, oggi tornare in quella casa è una medicina: trascorrere del tempo con i volontari, i genitori e i pazienti aiuta a vedere la vita con la luce giusta. Per me loro hanno rappresentato il lato bello della malattia". Venti anni fa, quell'osteosarcoma ad Alexandra ha cambiato la vita. Oggi ha 33 anni, vive a Rieti e, nel suo Paese natale, torna solo raramente.

"Tutto è iniziato nel 1999. A febbraio, dopo esser stata in giro con la slitta sulla neve, rientrando a casa iniziai ad avere un forte gonfiore al ginocchio", racconta. Ero una grande sportiva: facevo pallamano, danza, tennis. Il medico quindi lo attribuì a un problema muscolare, poi a un versamento al ginocchio. Avevo dolori lancinanti ma ero un'adolescente che non si ammalava mai, quindi nessuno pensava oltre. La mia cagnolina, però, in quel periodo si avvicinava spesso alla mia gamba, mi leccava e piangeva: per mio padre era il segno che la cosa fosse più grave di quanto non sembrasse". Con la lastra emersero 17 centimetri di massa tumorale. Così da una cittadina del nord della Romania, Alexandra si trasferì nella capitale, Bucarest.
    "E' una malattia che mangia l'osso", le spiegarono.

"All'ospedale - ricorda - mi mandarono a casa con due cicli di chemio, ma il tumore in poco tempo passò da 17 a 19 cm. Fu allora che mi dissero che dovevano amputarmi una gamba. Ebbi però la fortuna di incontrare un dottore speciale che raccomandò a mia mamma: portatela all'estero". Ebbe il visto in pochissimi giorni e la risposta immediata dell'Ospedale Bambino Gesù, che la mise in contatto con l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna. Venne in Italia con la madre, lasciando il resto della famiglia in Romania. "Fui operata il 18 novembre al Rizzoli ma scampai l'amputazione e oggi ho una protesi interna che occupa tre quarti della gamba. Presso il Bambino Gesù feci 7 chemioterapie prima e 7 dopo l'intervento. Le prime furono le più pesanti, mangiavo poco, vomitavo tanto, non riuscivo a scendere dal letto, mi faceva male la gamba, ero scomoda in qualsiasi posizione. Non avevo ciglia, capelli, sopracciglia: la gente mi guardava per strada ma io non mi sono mai sentita diversa". E il merito, spiega, è anche dell'Associazione Peter Pan, che la ospitò per un anno nell'abitazione di Trastevere.

"Peter Pan era la mia casa, la mia vita. Lì non mi sono mai sentita malata e tutt'oggi, se sto troppo tempo con persone che si lamentano per una 'giornata no', inizio ad avere necessità di tornare lì: è una parte di me. E' un luogo che fa bene all'anima, dove i pazienti vengono trattati come bimbi e non come 'malati di cancro' e tutti sono speciali, ognuno è indispensabile. Quando arrivi nella Casa di Peter Pan piangi perché combatti per vivere, ma quando te ne vai piangi ancora più di prima, perché lasci la tua famiglia". Alexandra fu una delle primissime ospiti dell'associazione, che da allora ha accolto gratuitamente e sostenuto oltre 700 famiglie provenienti da tutte le regioni italiane e dall'estero.

"Quelle mamme che vedevo in cucina preparare da mangiare per i figli malati venivano da tutto il mondo, c'era la professoressa come chi faceva le pulizie, ma lì erano tutte uguali e unite", ricorda. Oggi Alexandra fa la mamma e la moglie, ha due figli e alla Casa di Peter Pan è tornata, di recente, per festeggiare il suo 33esimo compleanno e i 20 anni dall'intervento con cui è stato estirpato il cancro. "Quando superi un ostacolo così grande e incontri persone così speciali, impari ad amare tutto della vita, anche le giornate no. Se potessi tornare indietro rivivrei tutto, perché mi ha fatto diventare ciò che sono oggi".

   

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