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Il chirurgo di Pantelleria, qui tutti mi vogliono bene

 "La decisione l'ho presa a 50 anni. Restare nella clinica convenzionata di Pomezia in attesa della promozione a primario che non sarebbe mai arrivata, o cambiare tutto. Le nomine, lo sapevo, sono solo politiche. Allora ho scelto, per me era l'ultima occasione, mi sono presentato al concorso da chirurgo per l'ospedale di Pantelleria. L'ho vinto.
    Da tre anni lavoro sull'isola, è un'altra vita". Massimo Chiarot, romano, è un chirurgo esperto in laparoscopia e oncologia, dirigente di primo livello dell'ospedale Bernardo Nagar di Pantelleria, avamposto medico a 120 chilometri dalla Sicilia e 70 dalla costa tunisina.
    "I miei maestri mi hanno insegnato a prendermi cura dei pazienti coinvolgendo anche le loro famiglie. Specialmente se si tratta di patologie serie, chiedo incontri con i parenti diretti, figli, mogli, mariti. E cerco di spiegare bene di che malattia si tratta e che cosa si devono aspettare. Con i pazienti cerco il rapporto personale, prima ancora di arrivare alla cura. Con gli isolani si è creato un rapporto forte, la cosa più bella è il loro attestato di fiducia. Sull'isola ormai tutti hanno il mio numero di telefono, mi chiamano anche per disturbi piccoli. Mi vogliono bene, per loro sono un punto di riferimento". Pantelleria, la perla nera come la definiscono i geologi per la sua natura vulcanica, conta 8 mila abitanti d'inverno che in estate diventano dieci volte tanto. All'ospedale Nagar ci sono 8 medici e 35 posti letto, il pronto soccorso e la sala operatoria, si gestiscono le urgenze in day hospital. Il mare tutt'intorno, che quando è grosso impedisce i collegamenti via nave. Ma immaginare una vita idilliaca tutta natura e benessere è un'idea ben lontana dalla realtà. "Per prendere un giorno di ferie ci deve essere un collega che arriva dalla terraferma - racconta Chiarot - i riposi praticamente non li faccio, sono reperibile 24 ore su 24. Sono da solo a gestire e decidere gli interventi. E' come avere una palla al piede - scherza - ma leggera. Perchè comunque il tempo per me stesso mi resta: faccio immersioni, pesca subacquea, apnea, suono la chitarra. Poi quando chiamano, lascio tutto e vado in ospedale. Anche a Pomezia sapevo quando iniziava un turno ma mai quando avrei finito. Qui è diverso, c'è il tempo della cura e il tempo che mi resta per me stesso". Nei mesi estivi, con l'arrivo dei turisti le cose si complicano. Incidenti in auto e motorino, bagnanti che finiscono sugli scogli, ipertesi in pronto soccorso. Come in una normale città, insomma, ma l'ospedale fa fronte. Anche quando si tratta di casi gravi. "Non che in inverno non ci sia lavoro - spiega - in tre anni ho operato quattro persone che erano state accoltellate, due donne e due uomini, tanto per fare un esempio di fatti cruenti. E poi tutti quegli interventi per emergenze che succedono ovunque, che si tratti di terraferma o isola è lo stesso".
    E le aggressioni ai medici? Difficili da immaginare quando in testa si ha la cartolina delle vacanze. "Le aggressioni sono una realtà, Pantelleria non fa eccezione. E' successo pure a me, ma un medico deve sapere come affrontare certi comportamenti. Nel mio caso si è trattato del figlio di una donna con una colecistite, aveva dolori forti. Quel giovane aveva paura che la madre morisse. Mi ha affrontato con violenza, ho lasciato che parlasse, poi gli ho chiesto di ascoltarmi e gli ho spiegato bene il decorso della malattia. Si è calmato. In realtà aveva solo paura di perdere una persona cara, l'aggressività è spesso dettata da insicurezza e timore. Il medico deve aiutare a smorzare l'ansia, deve essere disponibile e comunicativo. Alla fine si è calmato. La madre è guarita". E la famiglia, come si convincono moglie e figlio a lasciare la loro città? "Infatti non l'hanno lasciata - sorride - sono rimasti a Roma. Ma vengono a trovarmi sull'isola spessissimo"

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