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Da pillola a antipertensivi,alcuni farmaci causano gengiviti

Dai contraccettivi orali agli antipertensivi, alcuni farmaci contribuiscono a provocare gengiviti. Un problema che può causare un aumento dei batteri nel tessuto parodontale e alterare, nel tempo, anche la stabilità dei denti in chi ha già una predisposizione.

    Come evidenziano studi recenti e una nuova classificazione delle malattie parodontali, alcuni medicinali di uso comune possono avere, come effetto indesiderato, un aumento del volume e del sanguinamento gengivale. In particolare tre le tipologie di farmaci interessate: gli anticovulsivi impiegati per il trattamento dell'epilessia (come fenintoina e sodio valporato), i calcio-antagonisti utilizzati come anti-ipertensivi (come nifedipina, verapamil, diltiazem, amlodipina, felodipina) e, ancora, gli immunoregolatori, come le ciclosporine, usati in soggetti che hanno subito un trapianto. A necessitare attenzione sono anche i contraccettivi orali se usati in alte dosi.

    "L'aumento dell'infiammazione e del volume gengivale che ne consegue non si presenta in tutti i pazienti che ne fanno uso.
    Inoltre gli effetti possono variare anche nella stessa persona, a seconda dell'età o dal cambio di abitudini, come l'aumento o la cessazione del fumo e una più o meno accurata igiene orale", spiega Mario Aimetti, presidente della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP). Ma come avviene?

"In base a meccanismi diversi, l'aumento del volume gengivale indotto da questi farmaci favorisce l'accumulo di placca batterica sulla superficie dentale vicino alla gengiva. Questa, a sua volta, ne causa l'infiammazione. Quindi, se si assumano questi farmaci, bisogna informare il dentista e, in caso di necessità recarsi da un parodontologo per una visita di controllo", prosegue Aimetti, professore di Parodontologia all'Università di Torino. Nella maggior parte dei casi basta una rimozione professionale della placca e del tartaro associata ad una correzione delle manovre di igiene orale a casa. Nei casi più gravi, "di comune accordo con il medico di famiglia e lo specialista, si può valutare l'eventuale sostituzione della terapia farmacologica".

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