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Gm, lavoratori in sciopero per la prima volta dal 2007

Su Motor City tornano ad addensarsi le nubi. E per la prima volta in dodici anni i lavoratori della General Motors (Gm), la piu' grande casa automobilistica americana, si ritrovano ad incrociare le braccia. Per Detroit un incubo, ricordando quel 2007 in cui l'industria dell'auto made in Usa rischiò di scomparire, salvata solo in extremis dal baratro della recessione. Le ferite sono ancora oggi visibili in una città che ha stentato a riprendersi e che solo da pochi anni ha cominciato a intravedere la luce in fondo al tunnel.

Ma i timori di una nuova crisi alimentano le tensioni nelle relazioni sindacali. Così, allo scadere del contratto quadriennale, alla mezzanotte di lunedì, lo United Automobile Workes (Uaw), il potente sindacato dei lavoratori del settore dell'auto, ha dato il via libera allo sciopero in tutti gli impianti Gm: 33 stabilimenti e 22 magazzini di componenti. In tutto oltre 55.000 lavoratori che protestano per avere buste paga più pesanti e un incremento dell'occupazione. Ma anche una riduzione delle differenze di salario tra nuovi assunti e veterani, più contributi per la sanità, più sicurezza del lavoro e più flessibilità. Ma il punto cruciale della trattativa finita ad un punto morto e' la decisione dell'azienda di chiudere quattro impianti nonostante gli 8,1 miliardi di utili registrati lo scorso anno in Nord America. Uno schiaffo per i sindacati, una necessità per Gm che deve fare i conti con un calo delle vendite e con il generale indebolimento della domanda che sta impattando su tutte le Big Three di Detroit: non solo Gm ma anche Ford e Fca. Con Ford che nei giorni scorsi ha visto declassare il suo rating da Moody's al livello "junk", spazzatura, soprattutto per le cattive performance sul mercato cinese. A nulla e' servita la proposta last minute presentata da Gm, che ha offerto ai sindacati oltre 7 miliardi di dollari di investimenti volti alla creazione di 5.400 nuovi posti di lavoro e a un piano di aumento dei salari e dei benefici.

Un'offerta giudicata troppo generica e dunque insufficiente e che ha portato l'Uaw a lanciare una sfida dagli esiti incerti. Il quadro infatti non e' roseo. Dopo anni di boom delle vendite, a pesare sul settore auto Usa, che rappresenta il 3% del pil, ci sono le incertezze legate alla guerra commerciale e dei dazi e i timori di un generale rallentamento dell'economia che potrebbe sfociare in una nuova recessione. Uno spettro quest'ultimo che agita i 220 mila lavoratori degli impianti di assemblaggio e i 9,9 milioni di lavoratori che operano nell'indotto. Un monito alle parti e' arrivato da Donald Trump: "Dovere andar d'accordo e trovare un'intesa!", ha tuonato su Twitter. Quanto sta accadendo potrebbe trasformarsi in un duro colpo per il presidente americano, impegnato nella campagna elettorale per la rielezione. La crisi riguarda infatti quegli stati del Midwest, dall'Ohio al Michigan, che nel 2016 consegnarono la vittoria al tycoon e dove si trovano molti degli impianti in pericolo. Il rischio è che la promessa di portare lavoro in quelle aree, già duramente colpite dalla grande crisi, rimanga lettera morta.

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