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Mel Gibson non testimonierà al processo Weinstein

(ANSA) - NEW YORK, 17 NOV - La procura di Los Angeles ha deciso di non chiamare Mel Gibson a deporre al processo contro Harvey Weinstein. L'attore di 'La passione di Cristo' e 'Braveheart' era nella lista dei testimoni e avrebbe dovuto confermare il racconto di una delle donne che accusano l'ex produttore di molestie e stupri. Gibson sarebbe stato il primo a raccogliere lo sfogo della "Jane Doe n. 3", una delle accusatrici rimaste anonime, secondo cui Weinstein l'avrebbe aggredita sessualmente durante un massaggio. La donna fa la massaggiatrice di professione e sarebbe entrata in tensione quando l'attore aveva casualmente fatto il nome di Weinstein mentre lei lavorava sui suoi muscoli. "Gibson è stata la prima persona con cui finalmente mi sono sfogata", ha detto la donna sul banco dei testimoni. "Gli dissi che Weinstein mi aveva aggredita ma non volevo entrare in dettagli. Ero traumatizzata e umiliata". Non è chiaro perché la procura abbia rinunciato alla deposizione di Gibson. Nelle udienze prima dell'inizio del processo il giudice Lisa Lench aveva vietato alla difesa di Weinstein di utilizzare contro l'attore le polemiche su sue vecchie dichiarazioni antisemite. Nelle stesse udienze era emersa d'altra parte la possibilità che i legali dell'ex boss di Miramax avrebbero cercato di screditare la testimonianza sulla base di una presunta animosità tra Gibson e Weinstein dopo l'uscita della 'Passione del Cristo'.
    Il film sulle ultime 30 ore della vita di Gesù, girato in gran parte in Italia con John Caviezel e Monica Bellucci, fu accusato a Hollywood e tra le associazioni ebraiche americane di essere una collezione di stereotipi contro gli ebrei. Weinstein, che a sua volta è di origine ebraica, pubblicò poi un libro, 'Passion of the Christ' che contestava la trama del film.
    Nessuna major americana accettò comunque all'epoca di 'adottare' la pellicola che Gibson alla fine distribuì da solo. "Quel film creò una faida tra Gibson e Weinstein", aveva argomentato Mark Werksman, capo del team legale del produttore, accusando poi l'attore di voler "riabilitare la sua immagine" presentandosi adesso come un paladino del movimento #MeToo. (ANSA).
   

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