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Gianni Amelio, ad Amatrice non servono lacrime

(di Alessandra Magliaro) -"Un piccolo film per scuotere e non per commuovere. E' facile versare lacrime, ma c'è un momento in cui dici basta e vuoi che le cose cambino per davvero". Gianni Amelio è andato ad Amatrice un anno dopo il terremoto che in un paese così piccolo si è portato via 300 persone, sapendo che filmare le macerie delle case crollate e le persone traumatizzate significa emozionare, facilmente. "Ma non si può sempre piangere", dice in un'intervista all'ANSA Amelio che a Venezia porterà come evento speciale un cortometraggio prodotto da BartlebyFilm con Rai Cinema, "e proprio su questo mi sono trovato d'accordo con i produttori: un film non solo per ricordare, ma per testimoniare che bisogna agire".

Il film s'intitola Casa d'altri e non per caso: "E' un titolo leggermente inquietante: la macchina da presa va in una casa che forse non è stata costruita apposta per entrarci, ci si intrufola in luoghi in cui il pudore dovrebbe essere d'obbligo e si entra rispettando fino in fondo quelli che ti aprono la porta".

In questa frase c'è tutto lo spirito di un regista sensibile come Gianni Amelio, capace di raccontare con concretezza asciutta i temi alti rifiutando consolazioni facili come nel Ladro di bambini, Lamerica e nell'ultimo La Tenerezza, tra i più bei film della stagione. A Venezia, dove è stato tante volte, vincendo molti premi, tra cui il Leone d'oro per Così ridevano nel '98, torna anche come presidente della giuria di Orizzonti e vincitore del premio Robert Bresson, "il mio maestro assoluto". "Sarà un privilegio vedere tanti bei film, anche se l'incombenza di dare un giudizio obbligatorio mi riesce meno gradita. Giudicare gli altri, per chi come me ha vinto e perso tante volte, è difficile, io darei un premio a tutti".

Casa d'altri non è un documentario, Amelio lo sottolinea più volte, ma segue un filo narrativo con gli occhi di un abitante del paese reatino distrutto: "Amatrice è la vera protagonista, con le sue ferite, le sue lacerazioni". Il regista racconta lo shock della zona rossa dove è entrato scortato dai vigili e le immagini delle stanze tranciate, "quelle cucine ancora in piedi come se il tempo si fosse fermato il 24 agosto 2016, con piatti e bicchieri sul tavolo, te le continui con rabbia a portare dentro". Le storie strazianti dei paesani "che ti raccontano di quando hanno messo tutti i pezzi di corpi in una specie di slargo e li hanno ricomposti riconoscendo così i parenti" sono immagini che "non ti lasciano più e che proprio per questo ti scatenano la voglia di reagire, non per fare polemica sulla ricostruzione, ma perché sai che ad Amatrice, come nel resto d'Italia, a cominciare dalla mia Calabria, la regione più sismica in assoluto, c'è il modo per far sì che tragedie come questa non si ripetano, innanzitutto costruendo in modo anti sismico, come accade in Giappone per esempio. Chi ha il dovere di agire deve farlo, presto e bene. In Italia reagiamo subito, sull'onda emotiva, si piange e la solidarietà arriva, poi segue il disinteresse, l'oblio, tutto si perde in labirinti che trasformano la generosità in un vuoto malato. Casa d'altri vuole riflettere su questo".

Amelio, che non era stato ad Amatrice prima, si è portato a casa, dopo essere stato lì con la piccola troupe del film, una sorta di trauma per interposta persona: "Quando ti raccontano di aver vissuto quella paura ancestrale della terra che si muove sotto i tuoi piedi, non te ne liberi e sai che neppure nella loro memoria questo potrà cancellarsi".

Quest'empatia di Amelio con le persone incontrate lo coinvolge anche sul tema della morbosità di cui Amatrice "è vittima". "Lì ormai il sabato e la domenica arrivano i turisti per il selfie sulle macerie e questo - si appassiona il regista - è un atto di vigliaccheria, vergognoso, perché è un gesto di insensibilità e disprezzo umano. Ecco, ad Amatrice la gente è stanca di questo tipo di interesse e vuole ricominciare a vivere, in sicurezza".

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