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Femminicidi, il peso degli stereotipi di genere

Il WeWorld Index dimostra che una effettiva parità di opportunità tra il genere femminile e quello maschile influenzerebbe positivamente tutta la società: raggiungere e garantire la parità non è solo la cosa giusta da fare, ma è anche fondamentale per uno sviluppo sostenibile. Non a caso la nuova Agenda 2030 ribadisce la necessità di “raggiungere l'uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze” (Goal 5). Tuttavia, come ci mostra il Gender Gap Index del World Economic Forum, siamo ancora lontani da questo obiettivo, specie nell’ambito della partecipazione politica (dove il gap si è ridotto solo del 23%) e delle opportunità economiche (dove è diminuito del 59%) e 170 sono gli anni che servirebbero per colmarne il divario. Davvero troppi.
A contribuire in maniera significativa all’allargamento del gender gap sono gli stereotipi di genere. Quando si traducono in comportamenti abituali, le ripercussioni sulla società in generale – e sul mondo del lavoro in particolare – sono evidenti. Basti pensare che gli stereotipi di genere caratterizzano ancora oggi il 50% dell’industria pubblicitaria, condizionando orientamenti e comportamenti, anche se il 40% delle donne tende a non riconoscersi. Aprendo così anche una grande opportunità di business, se si pensa che le pubblicità in grado di andare oltre le immagini stereotipate impattano del 12% in più in termini di efficacia e percepito del marchio.
«Abbandonare gli stereotipi acquisiti durante l’infanzia e l’adolescenza dal contesto familiare e sociale non è semplice», spiega Chiara Volpato, docente di Psicologia Sociale presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca. «Richiede un lavoro lungo, profondo e, soprattutto, costante, perché, anche quando sono stati rifiutati a livello consapevole, gli stereotipi tendono a ripresentarsi alla nostra mente e a riproporsi come guida dei nostri comportamenti, soprattutto nei momenti di stanchezza, tensione e stress. Per evitare il loro impiego bisogna esercitare un controllo attento su pensieri e linguaggio, evitando di cadere nelle trappole del discorso quotidiano, delle chiacchiere da bar che spesso veicolano le idées reçues, apparentemente innocenti, in realtà foriere di divisioni e risentimenti».
Ma cosa centrano gli stereotipi con la violenza di genere? Lo spiega chiaramente Stefano Ciccone, dell’Associazione Maschile Plurale, che assieme a Chiara Volpato parteciperà al Convegno Erickson “Affrontare la violenza sulle donne” (Palacongressi di Rimini 13 e 14 ottobre 2017): «La violenza maschile contro le donne è frutto di una cultura diffusa che incide sulle relazioni, le rappresentazioni e le soggettività e non può essere ridotta a una devianza o a spinta criminale di una minoranza. Il lavoro nelle scuole e quello culturale per un mutamento nel maschile sono parte di un impegno integrato contro la violenza, per conoscere le sue cause e per la promozione di un cambiamento nelle relazioni tra i generi: sessismo, modalità di delegittimazione delle donne sono situazioni che abbiamo sperimentato nella vita di tutti i giorni e che possiamo contrastare in prima persona».
Per contrastare la violenza sulle donne occorre, quindi, avviare un importante cambiamento culturale per raggiungere una consapevolezza – anche tra professionisti, come operatori e insegnanti… - che consenta di riconoscere stereotipi così radicati nella nostra società da diventare talvolta invisibili. Questo cambiamento culturale può essere messo in moto anche attraverso i media, ad esempio attraverso ritratti realistici e non parziali di uomini e donne. Senza dimenticare il ruolo dell’educazione di genere con bambini e adolescenti, che può essere un potente strumento per promuovere un cambiamento nelle nuove generazioni, fungendo da fattore di protezione per tentare di aggredire le radici culturali della violenza di genere.

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