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Sulla Rolls Royce di Elvis Presley nell'America di Trump

(dell'inviata Alessandra Magliaro) Il 16 agosto 2017 saranno passati 40 anni dalla morte di Elvis Presley e la sua Rolls Royce grigia, con gli interni in pelle e velluto e il bar a bordo, acquistata nel 1963, è tornata ad attraversare l'America per un viaggio alla scoperta del paese oggi e scoprire come e se è cambiata in 4 decenni dall'idolatria del re del rock 'n roll all'elezione di Donald Trump presidente degli Stati Uniti.
    E' Promised Land, il bel documentario di Eugene Jarecki , fuori concorso al festival di Cannes, con un'idea geniale: tirare fuori dal garage quell'auto lussuosa e far salire a bordo amici che lo hanno conosciuto, musicisti che sono stati nelle sue band, parenti, semplici fan, persone famose in qualche modo collegate a lui e far con loro un viaggio lungo i luoghi di Elvis dalla casa natale di Tupelo nel Mississipi alla villa di Graceland a Memphis dove è morto a soli 42 anni. Un viaggio di scoperta della storia del mito Elvis e dell'America impoverita che ha detto addio al sogno americano di lavorare duro e trovare la gloria, da qualunque parte tu venga, che Presley ha incarnato negli anni del boom. Il regista, lo stesso premiato per Freakonomics e per Reagan, voleva "fare un film sulla morte del sogno americano" quando ha pensato che proprio la figura di Presley potesse essere metafora di tutto questo, "incarnasse il meglio e il peggio del paese, fosse la voce del paese" Promise Land mostra le disuguaglianze sociali, come a Memphis che fu la seconda decisiva tappa della formazione musicale di Elvis (dopo l'esperienza blues vissuta nelle piantagioni del Missisipi) e dove oggi il 29% della popolazione vive sulla soglia di povertà, e gli applausi a Trump durante la campagna elettorale.

Il film è scandito dagli spezzoni d'epoca, quelli con Presley giovanissimo, il bianco con la voce dei neri del sud scoperto da Sam Phillips cercando il nuovo Sinatra, il ragazzo di una bellezza irresistibile e quelli dei 29 film che girò e che odiò con tutto se stesso (il contratto cinematografico dei record, musicarelli di cui non aveva alcun controllo creativo) , gli spezzoni della folla isterica che lo idolatrava lungo tutto il paese, il mitico programma Comeback Special con cui apparve in tv dopo 10 anni polverizzando ogni record, quelle nella città di Las Vegas dove cominciò ad abusare di ogni droga, fino alle implacabili scene del disfacimento fisico sfatto di droga e grasso. "Ovunque guardavo, vedevo gente nostalgica di tempi migliori. C'era la sensazione che, quella terra di promesse le avesse perse per strada. Così come la vitalità personale e artistica di Elvis è stata da un cocktail tossico di potere e di denaro, così anche la sua nazione ha visto la propria salute - la tenuta delle sue istituzioni democratiche -, minacciata dal capitalismo vorace vincitore, dai guadagni sulle speculazioni dei privati . Ho cominciato il film prima che fosse eletto Trump e la volgarità della politica arrivasse ad altezze mai viste, eravamo durante la campagna elettorale seguendo il fantasma di quello che una volta era stato the king, il re americano e ho sperato che non stessimo facendo quella fine. Ora siamo davvero sul precipizio.
    Elvis è letteralmente morto su un gabinetto d'oro e noi? Siamo pronti a non seguire questo esempio sbagliato?". Tante le voci del film, i suoi vecchi musicisti, i rapper come Chuck D che rimproverano ad Elvis di aver saccheggiato la musica dei neri e di essere stato un super branding, i nostalgici della sua musica e di quei tempi, mentre fuori campo quando scorrono le immagini del funerale una voce dice "i nostri eroi sono vulnerabili, questo paese è vulnerabile".
   

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