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Quarant'anni fa l'ultimo volo di Gilles Villeneuve, il pilota che regalava Rosse emozioni

Immagini dai colori pastello, un po’ sbiadite dal tempo. E una musica romantica, un tango. Flashback e suoni che si rincorrono adesso per raccontare il viaggio di una generazione. Perché sono passati 40 anni da quando Gilles Villeneuve svegliò tutti dal sogno dell’invincibilità, della velocità come stile di vita, della rincorsa alle emozioni sempre e comunque.

Dal 1982 l’8 maggio non è mai più stato un giorno qualunque. È sempre il momento in cui chi era bambino o appena ragazzo ricorda nitidamente di essere passato all’età adulta. Di aver capito che la favola era finita, che non c’è sempre un lieto fine e che a volte c’è solo una fine. Succede sempre quando qualcuno o qualcosa ti svegliano e ti ricordano che la realtà è diversa da quella che avevi sognato, provato a vivere, immaginato di poter rincorrere per sempre. C’è un 8 maggio in ogni giovane diventato uomo.

Sono passati 40 anni dall’ultimo volo di Gilles Villenueve. Il perfetto sconosciuto assunto da Enzo Ferrari per dimostrare al mondo, dopo il tradimento di Lauda, che erano le auto di Maranello a fare grandi i piloti e non viceversa. Il ragazzo arrivato in punta di piedi, fra la diffidenza generale, ma con le idee chiarissime su cosa volesse essere, per se stesso prima che per il mondo che stava lì a guardarlo. E così oggi, statene certi, a 40 anni di distanza, ci sarà ancora gente che alle 13,52 si fermerà e pronuncerà il suo nome anche solo per sentirlo ancora vicino, per sentirsi ancora vivi come fino a quel 1982. Gilles Villeneuve, sì. In tutto il mondo c’è chi si carezzerà il cuore chiamandolo di nuovo.

Perché Gilles correva, rompeva semiassi, superava dove sembrava impossibile farlo, usciva da incidenti che avrebbero ucciso chiunque (Fuji 1977, Imola 1980 giusto per citare due esempi facilmente scovabili su Youtube). E lo faceva perché la sua vita era fatta del brivido della velocità, del gusto di sfidare l’impossibile, della soddisfazione immensa di credere di avercela fatta. Tutto questo si è tradotto in poche vittorie, 6 appena, ma in una quantità immensa di emozioni lasciate in chi l’ha visto correre.

E così oggi ricordiamo più un sorpasso di un trionfo. Ecco perché Digione non è solo un luogo sperduto nella cartina della Francia ma la mecca dove ogni tifoso colloca il duello più strabiliante di tutti i tempi con due auto affiancate in ogni curva per tutti gli ultimi tre giri. Gilles correva per vincere, è chiaro. Ma fece capire a tutti che prima di vincere bisogna essere all’altezza della vittoria, godere di se stessi. Bisogna amare ciò che si fa, essere certi di essere i migliori nel farlo, avere la capacità di dimostrarlo. In F1 questo si traduceva nell’andare più veloce, nel controllare la macchina quando le leggi della fisica suggerivano che non era più possibile, nell’oltrepassare i limiti non per vantarsene ma per dimostrare a se stessi che è possibile. Anche quando una voce dentro ripete che è inutile. E invece no, superarsi prima ancora che superare è sempre fondamentale. Mai stare al sicuro, mettersi in discussione sempre.

Gilles Villeneuve ha messo tutto questo in macchina. Il mondo che lo seguiva in tv o sulle tribune provò a fare lo stesso nella vita, a sentirsi ispirato da lui. Era un’isteria collettiva, una febbre che contagiava e cambiava lo stile di vita. Gilles su una Ferrari andava più veloce di tutti, anche quando sembrava più facile controllare, gestire, fare il ragioniere. E indicava una strada in un bivio che attraversa ogni giorno la vita di tutti. Per questo motivo è stato così amato. Chi era bambino o ragazzo all’epoca vedeva in Gilles la capacità di inseguire i sogni, la naturalezza del volere l’irrazionale, di preferirlo a ciò che è facile. Una gara di Gilles era come una canzone di Jim Morrison.

E per raggiungere tutto questo Gilles non voleva scorciatoie. C’è un secondo messaggio che questo canadese ha lasciato al mondo nei 5 anni e mezzo di F1: il rispetto dei patti, l’onestà che scansa la furbizia, il valore dell’amicizia. E per questo piaceva anche a chi in quei ruggenti anni Ottanta era già un adulto o un anziano. Niente scorciatoie, vince chi è migliore degli altri. Gilles ne era sicuro. Nel 1979 era già amatissimo, era fortissimo e sapeva di esserlo, ma rispettò l’impegno di lasciare vincere il mondiale a Jody Scheckter: c’era una regola in Ferrari, chi a metà stagione era davanti lottava per il mondiale e il compagno diventava lo scudiero. Gilles avrebbe potuto vincere nel 1979 ma rispettò quel patto.

Tre anni dopo un altro compagno di squadra, Didier Pironi, non rispettò un patto analogo e negò a Villeneuve la vittoria a Imola. Gilles si sentì tradito, dall’amico, dalla famiglia Ferrari, dal mondo che lo aveva osannato, dalla vita in fondo. Come una volta prima o poi può capitare a chiunque. E per questo la sua sofferenza fu quella di tutti, anche di chi era già un uomo avanti con gli anni. Anche di chi rivedeva in questo ragazzo di 32 anni le strettoie della propria vita, come flashback del passato.

E per questo in quei 15 giorni che separarono il tradimento di Imola dall’ultimo volo a Zolder in Belgio c’è la passione di ogni tifoso, di ogni uomo. C’è la sensazione che quelle emozioni stessero per finire: la vittoria di Monaco col turbo all’alba della sua epopea nel 1981, il trionfo a Jarama con una lezione di guida che ancora oggi è difficile da spiegare a parole. Sembrava, Gilles, un uomo, non più un ragazzo, che stava facendo i conti con la vita.

Era entrato nelle case degli italiani, dei tifosi di tutto il mondo, perfino della gente che non seguiva le corse. Era l’uomo delle favole, l’eroe romantico che sulle note di un tango, dopo aver sconfitto decine di avversari si avviava al duello finale. Ma le favole non esistono, gli eroi a volte muoiono, il bene non sempre trionfa. La gente lo capì l’8 maggio del 1982.

L’ultimo volo di Gilles si portò dietro tutto questo, insieme alle lacrime di Enzo Ferrari. E c’è una generazione che oggi chiude un cerchio: 40 anni senza il mito della sua epoca. In mezzo c’è un mondo che è andato troppo veloce, che viaggia alla velocità della play station, che insegna la vittoria a ogni costo e non solo se la si merita. Eppure chi ha visto Gilles, chi lo ha amato, a tutto ciò non si è piegato in questi anni. Perché il tempo che passa distrugge, il mondo che resta dimentica ma immortali restano gli eroi.

Era l’8 maggio 1982, sotto un cielo grigio, c’era Gilles, sì Gilles Villeneuve. Sembra ieri.

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