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Giorgia Meloni entra a Palazzo Chigi e davanti al picchetto d'onore si emoziona

Giorgia Meloni «prende casa» a Palazzo Chigi e l’emozione le si stampa sul viso. Accanto a Mario Draghi, nel passaggio di consegne della campanella che risuona nella sala delle Galere, la prima premier della storia italiana sfodera un sorriso radioso. Gli occhi le brillano e lo sguardo si fa tenero. Quasi «protetta» dal predecessore, con il quale ha sempre avuto ottimi rapporti, guarda fotografi e cameramen con l’aria di chi ce l'ha fatta. Sembra così alle spalle l’emozione, trattenuta poco prima nel cortile del palazzo, passando in rassegna il picchetto d’onore delle forze armate. E lo confida a Draghi.

Sciolto il ghiaccio, va avanti seguendo il protocollo che si conclude alle 12.30 con il suo primo Consiglio dei ministri. «Abbiamo scritto la storia. Ora scriviamo il futuro dell’Italia», è il sigillo che mette più tardi sui social. Per Meloni il primo giorno da premier comincia alle 10 e mezza quando arriva in piazza Colonna, a bordo di una auto italiana, una Giulia Alfa Romeo. A trattenerla, qualche secondo prima, gli applausi di curiosi e turisti attorno alla piazza transennata. Addosso ha giacca e pantalone neri, camicia bianca e scarpe comode e basse. Entra e ha lo sguardo concentrato, un po’ tirato. Sa che dovrà passare in rassegna i lancieri di Montebello, secondo tradizione. Ha un tentennamento al primo lato del cortile, dove sta per girare: rallenta, guardinga, per verificare che non stia sbagliando, quindi prosegue.

Ricevuto l'omaggio dell’esercito, si avvia sullo scalone. Subito dopo, si vede correre la sua segretaria Patrizia: oltre alla sua, ha in mano una borsa più grande che alcuni immaginano, poi, contenga le decollete che Meloni calzerà per la cerimonia della campanella.

In cima alle scale l’aspetta Draghi. È lui a rompere il ghiaccio, accogliendola con un «benvenuta», scandito da un battito di mano. Allora la nuova inquilina si lascia andare: «Sto bene ma questa cosa, qua sotto, è un po’ impattante emotivamente». I due si stringono la mano, Draghi aggiunge: «Ti trovo benissimo». Insieme entrano nella sala ed escono dai radar della stampa. Restano a colloquio poco più di un’ora, per passarsi le consegne sui tanti dossier che da settimane Meloni sta studiando, dall’energia alla guerra.

All’appello manca l’ultimo sigillo, quello della campanella. Draghi entra nella sala, lei aspetta che lui si posizioni e lo affianca. La presidente alza gli occhi incrociando lo sguardo del predecessore e vira sulla campana, come se fosse una cosa preziosa, da maneggiare con cura. Ma sa che deve farlo: il rito segna l’incipit simbolico del suo governo. Così la prende e la fa suonare, attenta a non farla cadere. «Si sente?» chiede. Poi china la testa di lato e sorride ai fotografi quasi a gustarsi il suono. Prima di salutarsi (lei semplicemente con un «Ciao Mario»), una battuta involontaria dell’ex premier che richiama il sottosegretario alla presidenza Roberto Garofoli, perché lo segua: «Lui viene con me», dice mentre Meloni ride. Il resto del film, per l’ex banchiere, racconta di un’uscita dal palazzo con la marcia nel cortile e gli applausi dei dipendenti affacciati alle finestre. Draghi alza le mani, ringrazia e lascia il Palazzo dopo 20 mesi.

All’interno resta Meloni che riunisce i suoi 24 ministri. Solo mezz’ora, il tempo di ufficializzare i ruoli di vicepremier per Matteo Salvini e Antonio Tajani e di Alfredo Mantovano come sottosegretario alla presidenza. La premier ringrazia il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e si sofferma sull’«onore» e la «grande responsabilità» che comporta l'appartenenza al governo. Soprattutto insiste sull'unità: «Dobbiamo essere uniti per affrontare le emergenze che il Paese ha davanti», scandisce. I suoi due vice assicurano che la coalizione resterà unita. Meloni ci spera e resta al lavoro nella sua nuova «casa».

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