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Meloni sui nomi dei ministri frena: prima c'è da scegliere i presidenti delle Camere, ecco i candidati

Carte ancora coperte sulla nuova squadra di governo. Giorgia Meloni incontra Silvio Berlusconi per un lungo faccia a faccia, circa un’ora, ad Arcore, ma non si sbilancia con il Cav. Troppe le incognite, tanti ancora i nodi da sciogliere, a cominciare dal ruolo che dovrebbe avere nella compagine Matteo Salvini.

Berlusconi insiste molto sulla pari dignità con i leghisti (anche loro all’8 per cento nelle urne ), per avere un’adeguata rappresentatività. La leader di FdI svicola sul toto ministri e rilancia sulla scelta dei presidenti del nuovo Parlamento. Una priorità rimarcata pure nella nota comune diffusa dai due partiti: i leader si sono «confrontati sui prossimi passaggi istituzionali in vista della convocazione del prossimo Parlamento».

I comunicati ufficiali parlano di un «clima di grande collaborazione e unità di intenti». È il secondo incontro che Meloni fa, dopo quello con Salvini, a una settimana dal voto che ha portato FdI al 26 per cento. Nelle note c'è la soddisfazione per tutto il centrodestra, insieme alla «necessità» di «un governo di alto profilo» capace di affrontare i dossier più urgenti come il caro bollette. La premier in pectore sull'incontro con il Cav si dice ottimista. ma non parla della futura squadra. Nemmeno del ministero dell’Economia. Pesa, su questo, l’attesa del sì di Fabio Panetta, ora nel comitato esecutivo della Banca centrale europea, sul quale il pressing di Meloni non si sarebbe mai allentato. Nel partito conservatore qualcuno assicura che la riserva tra il sì o no sarà sciolta entro metà settimana.

A questo punto l’elezione dei presidenti di Camera e Senato è prioritaria (al via dal 13 ottobre). E non è dettata solo da questioni di calendario. C’entrano i rapporti con gli alleati: sia Lega sia Forza Italia non nascondono mire su ministeri di peso, ma assegnando eventualmente a loro le presidenze del Parlamento, si potrebbe allentare la presa degli alleati su FdI per le caselle governative, si ragiona in ambienti della maggioranza.

Come le rivendicazioni di Salvini sul Viminale, per esempio. In alternativa, ci potrebbe essere per il leader della Lega la nomina al ministero degli Affari regionali, trampolino per definire la riforma dell’autonomia tanto cara ai governatori leghisti. «Questa sarà la legislatura che finalmente attuerà quell'autonomia delle Regioni che la Costituzione prevede», ricorda non a caso la Lega in serata.

Matteo però sugli Interni insiste. Ma anche Giorgia non intende mollare e il braccio di ferro tra loro potrebbe diventare un dentro-o-fuori. Nel risiko complicatissimo del prossimo esecutivo entra in gioco anche il vice del Cavaliere, Antonio Tajani, che sul segretario della Lega spariglia: «Salvini può fare il ministro di qualsiasi dicastero, può scegliere lui». Parole che forse tradiscono la tensione tra FdI e FI, in particolare sulla sorte di Tajani, non ancora definita. Per curriculum ed esperienza, l'ex presidente del Parlamento europeo potrebbe essere in pole per gli Esteri. Ma un’alternativa potrebbe essere la presidenza della Camera, lasciando invece il Senato alla Lega con il papabile, tra i diversi nomi, Roberto Calderoli. Altre opzioni che circolano in queste ore tra i partiti sarebbero i tandem Giancarlo Giorgetti della Lega a Montecitorio (oppure l’altro leghista Riccardo Molinari) e Ignazio la Russa di FdI a Palazzo Madama oppure Fabio Rampelli di FdI alla Camera e Calderoli al Senato.

In ogni caso se per Tajani sfumasse sia la Farnesina sia la Camera, si potrebbe aprire un duello con la Lega sul Viminale. Sottotraccia il partito di via Bellerio spera nel ministero dell’Agricoltura (che Salvini oggi ricorda sarà la priorità del prossimo esecutivo), sulle Infrastrutture, con Edoardo Rixi in pole, e sullo Sviluppo economico.

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