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Da Palermo alla resistenza ucraina, vita quotidiana sotto le bombe ad Odessa

Mentre scrivo l’esercito ucraino prepara la difesa da un attacco contro Odessa, una città che per i russi è storicamente un luogo di villeggiatura. I civili stanno fuggendo. Scappa chi può, chi ha un posto dove andare e soldi per pagare il biglietto per un passaggio, spesso su auto private che corrono il rischio dietro lauto compenso. Gli altri, per lo più anziani e malati o madri con bambini piccoli spesso prive di mezzi, senza più cibo, restano chiusi dentro i palazzi, spesso in appartamenti sovraffollati perché sono già in fuga da altri , luoghi dove i russi hanno già bombardato case, ospedali, strade e negozi.  Così è per Dimitro Logvinenko e per il cognato Vova Yrivich, due ragazzi ucraini di 29 e 25 anni.

Due settimane fa, quando il suono dei mortai , dapprima simile a tuoni lontani, si è trasformato in boati vicini e assordanti e una bomba ha colpito un palazzo a cento metri dalla loro a casa, nell’estrema periferia di Kharkhiv. Dimitro, Vova con la compagna Katia e i loro due bambini hanno deciso di fuggire insieme.

In autobus hanno raggiunto Dnipro ,senza bagagli e senza soldi perché già da settimane non era più possibile lavorare né andare verso la città, bersagliata dalle bombe nemiche, neppure per procurarsi il cibo.

Katia ha proseguito il viaggio verso l’Italia con i bambini per raggiungere la sua famiglia palermitana, dove da bambina trascorreva le vacanze e che l’ha riaccolta dopo quindici anni a braccia aperte.

Invece suo fratello Dimitro e Vova Yrivich, ai quali la legge proibisce di uscire dal Paese in guerra, hanno dovuto rinunciare a proseguire verso Ovest perché i passaggi verso Lvov , in quei giorni di pesante offensiva,erano pochi, costosi e pericolosi. Così hanno ripiegato su Odessa, citta portuale affacciata sul Mar Nero che a Dima che la conosce bene, sembrava più sicura.

Dimitro ama Odessa perché il sole e le spiagge gli ricordano l’infanzia trascorsa a Palermo, ospite della sua famiglia siciliana . “Mama! Smatrì!” (tra”d: “Mamma: guarda!) e via a tuffarsi in acqua a Mondello per trenta volte di seguito, mai sazio di mare, sole e rollò al wurstel.

Lui , che a undici anni sembrava averne sette, che arrivava a giugno dall’istituto dov’era alloggiato magro e bianco come un fantasma per ripartire a fine agosto con le gote rosee e paffute, tuttora si sente metà ucraino e metà siciliano.

Malgrado il lungo tempo trascorso, non ha mai dimenticato la lingua italiana e scrive spesso alla sua mamma palermitana che gli è rimasta accanto anche quando la burocrazia ucraina ha stabilito che non gli venisse mai più concesso il visto per raggiungere Palermo. Burocrazia che però non aveva fatto i conti con una madre siciliana che per due volte, si è recata a Kharkhiv per accertarsi che il suo Dima stesse bene e continuasse a studiare. “Andare in Ucraina è come diventare sordomuti: una lingua incomprensibile e tutto scritto in cirillico - racconta Marcella, 57 anni, impiegata – La notte in autobus dall’aeroporto di Kiev a Kharkhiv non finiva più. L’indomani però l’accoglienza della direttrice Iuliana in Istituto è stata affettuosa e l’entusiasmo dei piccoli ha cancellato ogni stanchezza e tensione . Insieme abbiamo trascorso una settimana bellissima “.

Il sogno di Dima, prima che la guerra spazzasse via ogni illusione di potersi affrancare da un passato difficile di disagio familiare culminato nell’abbandono in orfanotrofio, era di aprire una pizzeria da asporto a Odessa. “Pizzeria da Aldo” l’avrebbe chiamata in ricordo del suo papà palermitano.

Ormai adulti, rimasti senza lavoro lontani da casa e in balìa di una guerra che nessuno riesce a spiegare fino in fondo, Dima e Vova ricevono aiuti e rassicurazioni dalla Sicilia ma i soldi per la spesa non bastano mai. “In questa casa qui a Odessa ci sono quattro stanze e siamo in nove persone – spiega Dima - con Vova compriamo la pasta per tutti ma ormai un chilo di pasta costa 4500 grivne , circa 5 euro. Cose più economiche non se ne trovano più, chi è arrivato prima ha fatto scorte e non arrivano cose nuove . E’ un prezzo pazzesco però noi non possiamo lasciare digiuni gli altri, così cuciniamo quello che c’è e mangiamo tutti insieme: finché ci sarà qualcosa la divideremo e speriamo che la guerra finisca subito". Pasta, uova, patate, latte e un po’ di carne se si trova, tutto a peso d’oro. Ma a soffrire di più sono i neonati per i quali servono cibi specifici, ormai introvabili e costosissimi.

“Tre giorni fa per prendere cinque chili di pasta ho perso cinque ore. Due ore di strada e tre ore di coda perché c’erano 560 persone in fila davanti ad uno dei pochi negozi aperti dove ancora c’è qualcosa da comprare. Però devo fare presto perché alle sei di sera c’è il coprifuoco e se ti trovano in giro ti arrestano.”

Il palazzo dove abitano Vova e Dima ha dieci piani ed è pieno di gente che non ha più cibo né medicine né una famiglia che li sostenga da lontano. "Per lo più si tratta di civili e cioè persone come noi, impiegati, operai, casalinghe, professionisti - che comunque non saprebbero dove andare e a chi chiedere accoglienza".

Spesso le giovani madri hanno i mariti al fronte e vivono sole con i bambini, senza soldi e nel terrore. Dima racconta che, nella stanza accanto alla sua, abita Irina con la sua piccola Milana di nove mesi. Il papà è un marinaio e la sua paga è buona, purtroppo lei da settimane non riceve più nulla e non ha da mangiare per sé e per la bambina. Inoltre, i negozi che vendono i prodotti per i neonati sono quasi tutti chiusi e i pochi ancora aperti comunque non ricevono rifornimenti. Pranza con gli altri in cucina e nonostante tutto spera.

La giornata a Odessa, in attesa di un’ imminente offensiva russa, è scandita dalla ricerca di generi di prima necessità nei negozi aperti, dalle file davanti agli scaffali semivuoti e dalle fughe verso i rifugi mentre le sirene annunciano i bombardamenti oppure l’inizio del coprifuoco quotidiano. Il buio della notte è spezzato dai bagliori delle esplosioni seguite da cupi boati finora in lontananza.

I russi stanno per arrivare: li annunciano i colpi provenienti dal mare e da Est.

La via di fuga , per chi può lasciare il Paese è la Moldavia. C’è chi riesce a passare la frontiera: donne con figli al seguito ma anche uomini che comprano documenti falsi attestanti la cittadinanza moldava pur sapendo di rischiare una condanna a 15 anni di prigione.

Dimitro e Vova non temono di essere arruolati, sanno che è loro dovere e diritto difendersi dagli aggressori e non lascerebbero l’Ucraina. Però non vogliono nemmeno restare prigionieri dei russi e perciò hanno deciso di riprovare a raggiungere Leopoli, di tentare la sorte prima che sia troppo tardi.  Dima ha detto alla sua famiglia palermitana che domani, forse , potranno partire, o forse no, perché potrebbe essere già troppo tardi. Un altro giorno di attesa e trepidazione è cominciato.

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