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L'altra faccia di Rio, nelle favelas non c'è traccia di giochi olimpici

La Città di Dio è un paradosso, perché tra le fogne a cielo aperto le baracche e le gang della favela che sormonta il Parco olimpico di Rio 2016, del Signore non c'e' traccia, se non nei nomi delle poche vie censite: via della Fede, via della Luce, via del Vangelo... Per la verità nonostante la vicinanza, 500 metri in linea d'aria, non c'e' traccia neanche dei Giochi, alla Città di Dio.

Non un'insegna, non uno striscione, neanche un gadget a Cinque cerchi. Ma questo sarebbe il meno, racconta all'Ansa Jose Carlos De Paula, per tutti in Brasile Zezè, un omone con un passato da portiere del Fluminense e un presente da educatore che per Action Aid, l'organizzazione internazionale impegnata nella lotta alle cause della povertà e dell'esclusione sociale, cerca di strappare ai narcotrafficanti bambini che nelle loro mani hanno un'aspettativa di vita inferiore ai 25 anni.

"La cosa grave - spiega - non e' nella mancanza di spirito olimpico tra queste strade disgraziate: e' l'assenza totale di ritorno sociale ed economico di certi grandi eventi sportivi per la popolazione povera brasiliana. Non un posto di lavoro al Villaggio e' toccato agli abitanti della favela, non un'infrastruttura. Non un biglietto per le gare, e nemmeno un ingresso gratuito per le varie prove delle cerimonie: sono andati tutti ai ricchi e ai politici. E così era stato negli anni scorsi per i Giochi Panamericani e per il mondiale di calcio".

Il Governo ha piazzato una forza dell'ordine creata ad hoc nel 2006, l'Unida Policia Pacificadora, a presidiare le favelas: cercando una finta pacificazione tra le gang. Una sorta di trattativa Stato-Mafia in salsa carioca, dove ognuno rinuncia a qualcosa: le bande della droga a gesti eclatanti e a qualche morto, lo Stato ai propri principi di diritto. Un male minore che ha evitato finisse sotto la lente di ingrandimento del mondo la violenza che procurò alla Cidade de Deus, la Città di Dio, la ribalta di un film durissimo e di grande successo.

"Un'operazione, quella governativa, che però non ha agito - spiega Marco De Ponte, segretario generale di Action Aid Italia - sulla vera questione: creare nelle nuove generazioni una consapevolezza dei propri diritti civili, instillare in loro valori che li portino lontano da qualsiasi tipo di illegalità".

Per raggiungere l'obiettivo, in 15 anni Action Aid si è occupata alla Città di Dio, tra centri sociali e sportivi, di 5000 bambini e delle loro famiglie. "La più grande soddisfazione? - si inorgoglisce Ze-Ze, che sognava di creare una scuola di portieri - me l'ha data Danielle, una bimba che non sorrideva e non giocava con nessuno. Una volta, avrà avuto 7-8 anni, l'ho messa per scherzo tra i pali su un campo di cemento. Si buttava senza paura, aveva una grande presa. Allora l'ho fatta allenare, in porta andava bene sia nel futebol sia nell'Handball. Ha scelto questo secondo sport, è finita nella Selecao".

Vivono tra le lamiere in vicoli strettissimi e luridi, i 65 mila abitanti della "Città": e parte dei confini della favela sono delimitati da un'autostrada trafficatissima, così passa la voglia di uscire da questo ghetto del terzo millennio. Eppure i bambini, spesso con nomi biblici, sfoggiano sorrisi disarmanti mentre con un rapido gioco di mano intrecciano fili di cotone fino a farne aquiloni fosforescenti e multicolori da vendere sul fiorente mercato carioca. Caino ha 7 anni, e a dispetto del nome è di una bontà commovente. Si presta con Zezè e tre operatrici brasiliane di Action Aid, Julianne, Gabriela e Adeli, a fare da Cicerone in un giro improvvisato tra case simili a stalle, immancabili antenne paraboliche e sorprendenti - per numero, se non altro - gabbie con canarini: rara bruttezza urbana dove molti ricchi salgono volentieri dalla vicina Barra, a rifornirsi di droga e a ingaggiare colf pagate una miseria.

Ma Caino sembra non avvertire la tristezza del contesto: e' così buono e onesto intellettualmente, che dopo un palleggio volante con un giornalista, gli si avvicina e dice perchè tutti sentano: "pensavo fossi alemao, tedesco, ma ora che ti vedo toccare il pallone capisco che sei italiano, quasi brasiliano...". Sentenza che innervosisce un malavitoso con lunghi capelli stile rasta: si appalesa da un vicolo e rimprovera aspramente il bambino. Zezè saggiamente impone di velocizzare la marcia: resta il tempo di registrare l'appello dell'undicenne Natalia, miniatleta di Tae Kwon Do, che chiede di portare nella favela il vincitore dell'oro ai Giochi e chiudere la visita lasciando la Città da un'uscita sufficientemente lontana dalle macchinone che sfrecciano sull'autostrada. C'è scritto "Os humiliados serao exaltados", ovvero gli ultimi saranno i primi. A pensarci bene è la legge di Dio, ma non del Cio.

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