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"Il traditore", Favino a Cannes: "Ecco come mi sono calato nei panni di Tommaso Buscetta"

«Niente di più lontano da me, dal mio mondo, io di Piacenza lui di Palermo, e poi la mafia e tutti i fatti di sangue, eppure piano piano mi sono impadronito di questa storia, di questa figura tragica per raccontarla non certo come un eroe ma certamente come un uomo di coraggio, una qualità che ammiro forse perché a me non appartiene» dice Marco Bellocchio, in concorso al festival di Cannes con Il Traditore, un film sul boss pentito di mafia Tommaso Buscetta, in 350 sale da oggi al cinema in Italia con 01 Distribution.

Ecco così che Bellocchio per la prima volta nella sua lunga carriera filma una sparatoria, ad esempio, e gira scene in quel dialetto stretto palermitano, come ha raccontato Luigi Lo Cascio, un perfetto Totuccio Contorno, «di cui non capiva nulla».

Tutto ruota intorno a Buscetta, a quel periodo cruciale dell’inizio anni '80 quando alla mafia 'antica' si oppongono i corleonesi di Totò Riina, alla sua decisione di parlare a Giovanni Falcone, al maxi processo a Palermo.

«E' un uomo che rischia, non vuole essere ucciso nella guerra di mafia, difende la sua vita, i suoi figli, per gli altri è un traditore, per lui stesso è un conservatore dei 'valori' mafiosi. Se c'è una fascinazione non è certo per farne un eroe, su questo non penso ci siano equivoci», si è difeso Bellocchio sull'inevitabile osservazione sul 'fascino' dei malvagi.

Pierfrancesco Favino con capacità mimetica si è trasformato in Buscetta, un boss che amava godersi la vita, vanitoso, carismatico «una grande personalità, secondo ogni documentazione fatta prima delle riprese», racconta il protagonista che forse per sentire meglio il personaggio ancora addosso si è presentato con un look vagamente vintage, nei colori e nello stile di abito e camicia.

Dice Favino: «Sono ingrassato 9 chili, ma non è virtuosismo, mi serviva ricordare la ruralità della mafia, questi stomaci rotondi, l’aria tozza nonostante il tentativo di sfinirla con i gabardine e quei chili in più mi hanno cambiato
il respiro e il modo di guardare gli altri. Per uno come Buscetta gli occhi degli altri sono importantissimi e infatti ha
cominciato a farsi plastiche già negli anni '70, quando ancora non era un potente. Non è stato solo cercare di assomigliargli, ma di avere la sua stessa energia. Del resto la leggenda lo rincorre, si è costruito una memoria di se stesso dai libri alle interviste televisive, dimostrando di essere anche un fine stratega della comunicazione. E io nell’interpretarlo mi sono sempre domandato a cosa credere e a cosa non credere di quello che via via sapevo di lui. Al romanticismo, all’amore per la famiglia, all’idealismo? Sono anche i miei valori, ma certo non si è boss per niente e lui non era un figlio della mafia, ma ha scelto a 17 anni di entrarci sapendo che era la scelta per tutta la vita, dunque rendere questo lato è stato la mia vera sfida».

Bellocchio, che nella sua filmografia ha precedenti storici importanti come Buongiorno notte sul rapimento Moro o Vincere su Mussolini ed è appassionato di storia, ha spiegato che per Il Traditore c'è stato un altro approccio - l’idea venuta da altri (il produttore Beppe Caschetto di origine siciliana con Rai Cinema) - e che era interessato a fare un «film popolare, con una sua semplicità. La mia unica preoccupazione era essere anticonvenzionale, passare dalla cronaca all’epica, mettere in scena la teatralità del maxiprocesso, raccontare la sua tragedia di padre di figli perduti».

La ricostruzione dei fatti è precisa, la sceneggiatura di Ludovica Rampoldi, Valia Santella, Francesco Piccolo e dello
stesso Bellocchio, arrivata all’11esima stesura, mette in fila dalla riunione dei mafiosi vecchi ed emergenti nella villa di Stefano Bontade il 4 settembre 1980 alla fine di Buscetta, passando per l’estradizione dal Brasile, il primo maxi processo, la strage di Capaci, il processo contro Andreotti, «non disperdere la memoria è una delle cose importanti che può fare il cinema perché tanti sono ancora i misteri e le verità nascoste anche su questa storia», dice Favino che non vuole partecipare ad una polemica stampa (già conclusa in privato, ha precisato) dopo che il figlio di Antonio Montinaro, vittima a Capaci con gli altri uomini della scorta di Falcone, aveva definito giorni fa 'operazione di marketing' l’uscita del film proprio il 23 maggio, giorno dell’anniversario.

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