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Tamara, l’irresistibile fascino dell’ambiguità

TORINO. Bella e trasgressiva. Ma anche indipendente e sfrontata bisex, scoppiettante come il vulcano messicano Popocatépetl dove, nel 1980, volle che le sue ceneri fossero sparse, dopo essere stata cremata. Nata a Varsavia nel 1898 Tamara Rosalia Gurwik Gorska (sposata de Lempicka), è stata, in tutto e per tutto, una pittrice (e una donna) fuori dagli schemi sociali della sua epoca. A Palazzo Chiablese di Torino, fino al 30 agosto, più di 80 opere in una mostra «perfetta», curata da Gioia Mori, che (ri)costruisce percorsi artistici e di vita glamour dell'artista polacca.

Sei le sezioni per raccontare della complessa personalità della de Lempicka, fuggiasca dopo la Rivoluzione d'Ottobre, icona degli anni ’20, studiosa dei maestri italiani, elegante testimone del mondo lussuoso della moda, bisessuale fuori dagli schemi, amante delle coreografie persino dopo la morte. Nella prima sezione della mostra torinese, promossa dal Comune e prodotta da 24Ore Cultura e Arthemisia Group, la storica dell'arte Mori «mette in scena» la realtà dell'artista de Lempicka vissuta tra due mondi (Europa e America), in un percorso che presenta tutte le case in cui ha vissuto tra il 1916 e il 1980 e i quadri ispirati ai loro interni. Nella seconda sezione, si passa al primo genere cui si dedicò la pittrice: la natura morta. La terza è dedicata alla figlia Kizette (Kizette al balcone e La comunicanda), con cui ebbe un rapporto ambiguo e conflittuale. Si passa, quindi, agli influssi che le fotografie di Freund, Kertész e Kollar ebbero su di lei. Quindi la pittura «devozionale» con la Vergine Blu e la Vergine col Bambino. La quinta sezione «Dandy decò» racconta dei rapporti con il mondo della moda attraverso disegni, dipinti e fotografie oltre a due rari filmati degli anni ’30 che fanno «vivere» l'artista all'interno degli spazi della mostra torinese. Nella sesta si affronta il tema delle coppie (anche omosessuali) e nell'ultima il trionfo delle visioni amorose con i nudi maschili e, soprattutto, quelli delle donne da lei amate e desiderate.
«I suoi ritratti - scriveva ammirato, nel 1929, l'artista futurista Enrico Prampolini alla de Lempicka - sono un meraviglioso panorama della sensualità e della psicologia della carne».

I suoi quadri più noti sono caratterizzati da un'anatomia sfigurata e deformata all'interno di linee morbide che disegnano cerchi che riportano alla mente l'arte cubista adattata, però, al gusto borghese. La gamma cromatica è ridotta (verdi, rossi e blu in prevalenza) mentre i volti, spesso dagli occhi malinconici, tradiscono un disagio psicologico latente: quello del mondo moderno.
Autoritratto a bordo della Bugatti verde è, forse, il suo quadro più famoso, quello che divenne il simbolo di un'epoca. Quest'olio su tavola, datato 1929 circa, di 35 cm x 26, ritrae la de Lempicka, caschetto in testa, guanti di daino e sciarpa svolazzante, al volante di un'auto sportiva. C'è da dire che, sebbene il titolo sia «autoritratto», in realtà, la pittrice possedeva una Renault gialla. Ma colse al volo l'invito della direttrice della rivista tedesca di moda Die Dame per dipingere il suo autoritratto in automobile per la copertina della rivista: era la personificazione della donna moderna, indipendente, magari un po’ annoiata, con lo sguardo fermo ma rivolto ad altro rispetto alla tela. Poco somigliante alla pittrice, questa donna emancipata al volante è diventata il simbolo di un'epoca.

Così come Ragazza in verde del 1930 dove le pieghe del vestito aderiscono alla figura femminile come una fossero seconda pelle. Dai seni piccoli e sodi, con fianchi ed ombelico in bella evidenza, lo sgargiante colore dell'abito a contrastare il bianco dei guanti e del cappello: il tripudio dell'erotismo che sembra volersi (o doversi) contenere nei limiti di pensieri peccaminosi.

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